Alla fine degli anni ’80 Pagliarani lavorò a un videodisco di poesia con una startup di ricerca universitaria tra Genova ed Arcavacata. Il progetto di un Laboratorio di poesia non era nuovo, anzi era una pratica matura che negli anni solo Plinio De Martiis (in audio) e la rivista «Videor» (in video) avevano seguito registrandone gli appuntamenti. Elio raccontava di aver pensato spesso di imitare un eccentrico concittadino tanto fantasioso quanto intraprendente che nell’arduo dopoguerra delle campagne s’era inventato una fantomatica Scuola Popolare Itinerante di Agricoltura per sbarcare il lunario. Ora che il laboratorio, ed Elio stesso, «sono diffusi come pioggia sulla terra, divisi come un’ultima ricchezza, sono radice ormai...», per dirla col Poeta, possiamo pensare agli aggettivi, popolare e itinerante, che sono stati la marca del suo lavoro didattico: e che può essere anche nostra, per continuare. Magari col digitale che ora è lanciato oltre l’ostacolo. Sperimentare era così naturale per Elio Pagliarani che non è facile però immaginare come si possa riprendere il pathos dei suoi incontri in una scena distratta e dispersa che per fare ascolto avrebbe tanto bisogno invece del suo esserci. Un insopportabile stato di distrazione insidia la poesia, ma non solo. Fuor di metafora, Elio Pagliarani teneva insieme e rilanciava, individuava, i nodi che ogni nuovo poeta proponeva al suo ascolto. Faceva rete suo malgrado, per così dire, e di ciò era pienamente consapevole: pensiamo alla grande antologia virtuale di testi che il suo magistero dell’ascolto pubblico ha messo insieme in questi anni. Ma questo è un passaggio troppo difficile da raccogliere anche per il possente digitale se non c’è più Pagliarani