venerdì 21 aprile 2023

Lea 1991

Lea topsterAgli inizi degli anni Cinquanta la costiera amalfitana è un set a cielo aperto che accoglie, in ogni suo angolo, attori e registi, star e giornalisti nel concitato ed eccitante fermento del cinematografo nel pieno del suo splendore. Roberto Rossellini tra il 1948 e il 49 ha girato Il Miracolo (episodio de L’Amore) e La Macchina ammazzacattivi. E.G.Ulmer sempre nel ’49 si muove tra Praiano e Ravello per I pirati di Capri; l’anno seguente Francesco De Robertis girerà Gli amanti di Ravello e poi nel ’51 Pietro Francisci dirigerà Vittorio Gassmann in Il leone di Amalfi. Questa produzione prenderà il posto della troupe americana che ha appena finito Three steeps north (per la parte ambientata ad Amalfi) mentre a Maiori U.M. Del Colle sfrutta la torre normanna per alcune scene di Menzogna. Il 1953 poi, sarà un anno ricchissimo. Viaggio in Italia di Roberto Rossellini (la scena finale della processione a Maiori con la Bergman e George Sanders tra la folla dei fedeli) Humphrey Bogart, Jennifer Jones, la Lollobrigida e John Huston a Ravello per Beat the devil. E mentre a Vietri sul mare Giuseppe De Santis ambienta alcune scene di Un marito per Anna Zaccheo, a Cetara Steno guida Totò ed Orson Wells nel controverso L’uomo, la bestia, la virtù. Ad Ettore Giannini spetterà chiudere la stagione con un episodio di Carosello napoletano, interpretato da un esuberante Paolo Stoppa. Se la maggior parte di queste produzioni si erano spinte sugli scogli della costa d’Amalfi per catturarne le suggestive cartoline, i tramonti romantici sul mare e la freschezza degli abitanti, W. Lee Wilder (fratello maggiore di Billy Wilder che a sua volta farà una capatina in costiera amalfitana per qualche frammento di Che cosa è successo tra tuo padre e mia madre del 1972 con Jack Lemmon e Joliet Mills) vi ambienta un noir. Per la verità, qualche anno prima, già Gianni Franciolini aveva diretto Fosco Giacchetti in un dramma assai cupo girato nel borgo dei pescatori di Furore (Notte di tempesta). Lee Wilder, quindi, prova a trasferire le atmosfere hard boiled dalla California alla costiera amalfitana. E lo fa privilegiando la notte. Three Steeps North è la storia di Frankie (Lloyd Bridges) soldato americano di stanza a Napoli che nell’immediato dopoguerra si immedesima nelle dinamiche economiche del posto. Con la borsa nera riesce a raggranellare 4 milioni di lire che decide di nascondere in una cassetta sotterrata a tre chilometri a nord di Amalfi, in aperta campagna, a tre passi da un albero sul quale incide un segnale di riconoscimento. Ma i suoi loschi traffici non erano sfuggiti ai superiori che, al termine un’indagine che lo rinvia a giudizio, lo processato in America dove viene condannato. Scontata la pena Frankie, decide di tornare clandestinamente ad Amalfi a recuperare il malloppo. Sulla nave c’è il suo ex commilitone Vincent, che sapeva del denaro nascosto. Qui il lavoro di Wilder diventa raffinato. Amalfi è inizialmente presentata nel suo splendore da cartolina: l’arrivo della corriera in piazza, i venditori di souvenir, gli scugnizzi che assalgono gli stranieri. Poi si entra nei vicoli, per le scalette, nei cortili. Le ombre si allungano. Le donne sono indaffarate. Scontrose, fanno i conti con la miseria. Nel bar dove Frankie va a cercare notizie di Elena (Lea Padovani) – una ragazza di Amalfi che ha conosciuto durante la guerra – c’è Roberto Murolo che canta, accompagnandosi con la chitarra. La cura delle musiche del film è di Roman Vlad. Scalinatella (Cioffi-Bonacura) sottolinea molte parti della pellicola, poi, per la delizia dei vecchi pescatori seduti accanto a lui Murolo interpreta anche Torna Pullecenella (Conte-Murolo). Anche qui il regista ha colto nel segno, mostrando una grande padronanza dei dettagli. Soprattutto dell’aria che si respirava a quel tempo. Elena non sembra felice di rivederlo. Anzi. Gli rinfaccia il silenzio lungo quattro anni. E se ne va. Lea Padovani si misura con una recitazione complicata. È una donna innamorata e delusa. Sarà protagonista di gesta coraggiose per discolpare Frankie dall’accusa (infondata) di omicido confessando (falsamente) di aver trascorso la notte con lui. Condurrà anche un sottile doppio gioco per salvarlo dai malavitosi locali che volevano eliminarlo per impadronirsi della refurtiva. La padronanza dell’inglese non è perfetta. Anzi. Ma questo rende molto più convincente la sua prova. Come pure quella di Fabrizi, relegato ad un ruolo minore, forse solo per avere il suo nome per fare cassetta (nei titoli di testa è indicato come costarring). È Pietro, il custode del cimitero militare sorto sul terreno dove Frankie aveva seppellito il danaro, forse perché la prova nei panni del prete in Roma città aperta aveva convinto anche oltreoceano. Fabrizi interpreta in maniera assai ambigua il ruolo del tipico italiano amichevole ed accogliente che si prodiga in inviti a bere vino e mangiare pasta, pacioso con tutti, ma che solo alla fine rivela di aver intuito fin da subito le intenzioni di Frankie. Una serie di scene notturne (l’omicidio di Vincent, l’amico americano, gettato in un canale), l’inseguimento nei vicoli di un altro misterioso assassino dalle scarpe bianche spostano il baricentro verso il racconto hard boiled. Le ombre dei lampioni del lungomare di Amalfi non possono certo reggere al confronto con quelle delle strade di Los Angeles, ma la suspense c’è. Funziona. Poi il film si avvia verso un lieto fine non senza aver omaggiato il paesello di qualche inquadratura dalla terrazza dell’Hotel dei Cappuccini (soggetto molto caro ai ritrattisti dell’Ottocento, ora completamente ristrutturato) e al suo imponente ascensore (uno dei rari esempi di archeologia industriale in costiera amalfitana anch’esso demolito). Quando Frankie riesce finalmente a scavare nel posto stabilito, scopre che la cassetta è vuota. È Pietro a spiegare il mistero. Durante i lavori per la costruzione del cimitero li ha trovati e li ha utilizzati per edificare la cappella «per cattolici, protestanti ed ebrei. Qui sono tutti uguali» come precisa con un largo sorriso. E lui, con quella costruzione, è riuscito a trasformare il danaro da cattivo a buono. Ovviamente Frankie condivide e decide di restare ad Amalfi per ricominciare la sua vita al fianco di Elena.
 TRE PASSI A NORD (Three Steps North) di William Lee Wilder, con Adriano Ambrogi, Umberto Aquilino, Giulio Battiferri, Lloyd Bridges, Peggy Doro, Aldo Fabrizi, Dino Galvani, Adam Genette, John Fostini, Roberto Murolo, Dorothy Nathan, Lea Padovani, Gianni Rizzo, Enrico Leurini, William Tubbs; sceneggiatura: Lester Fuller; fotografia: Aldo Giordani; montaggio: Ruth Trotz; musiche Roman Vlad; produzione: Continentalcine (Roma), W. Lee Wilder




Sei in: Archivio > la Repubblica.it > 1991 > 06 > 25 > LEA, DONNA DI CARATTERE LEA, DONNA DI CARATTERE ROMA Addio a Lea Padovani. I funerali dell' attrice, scomparsa nelle prime ore di domenica scorsa, sono questa mattina alle 10, nella chiesa degli Artisti di piazza del Popolo. Lea Padovani è morta a 68 anni era nata a Montalto di Castro il 28 luglio 1923, ma potrebbe essere il ' 24 o il ' 21 secondo altre fonti stroncata da arresto cardiaco. Imprevisto e beffardo, poiché proprio giorni fa si era rassicurata con una serie di analisi accurate in vista dell' impegno che avrebbe affrontato al Festival di Todi alla fine di agosto, il personaggio di Tzu Hsi, L' imperatrice della Cina di Ruth Wolff, donna autoritaria e autorevole, che resse il governo per il figlio Pu-Y, l' ultimo imperatore di Bertolucci. E' l' addio ad una donna dal carattere determinato, che ha vissuto un' esistenza contro ogni schema e ogni conformismo. A cominciare da quando a 17 anni rifiutò il tranquillo destino di ragazza di buona famiglia borghese e, sfidando le ire paterne, si trasferì a Roma per frequentare l' Accademia Silvio d' Amico. Poi, con tutta la sua bella preparazione, invece di debuttare nel grande teatro, scelse la rivista, soubrette con Macario o nel cast di il Cantachiaro di Garinei e Giovannini nel 1944 dove si trovò accanto ad Anna Magnani, alla quale sarebbe stata avvicinata per la forza del temperamento, oltreché per alcuni ruoli come quello di La rosa tatuata, interpretata con successo in inglese a Londra. Un carattere che, per tutta la vita, le fece anteporre i sentimenti e le emozioni private all' esaltazione del palcoscenico. Era reduce da Visconti e piena di offerte importanti, quando la sua esistenza fu travolta dall' amore perentorio e totalizzante di Orson Welles già leggenda. Una breve, focosa stagione, conclusa turbinosamente a Londra durante le prove di Otello, perché lei pensava al ruolo di Desdemona, lui voleva convincerla a fare la moglie. Meglio l' amore che il teatro fu alla base delle sue scelte ancora una volta, quando salutò l' ambiente per seguire un giovane bello e avventuroso, anonimo impiegato di una società di arredamenti, Aldo De Francesco, che, malgrado le trepidazioni degli amici che diffidavano di lui, le regalò vent' anni di vita movimentata e ardita, in giro per il mondo su una grande barca che Lea Padovani governava con entusiasmo. Ma stamattina gli amici, i conoscenti, gli ammiratori non saluteranno solo una personalità affascinante e forte. Il rimpianto sarà anche per un' attrice che ha comunque lasciato il ricordo di bellissime interpretazioni sul palcoscenico (anche il Williams di Una gatta sul tetto che scotta) e memorabili personaggi sullo schermo. Nel cinema del dopoguerra, che si rivitalizzava con le bambolone e le bellezze prorompenti che uscivano dai concorsi delle miss, Lea Padovani trovò i suoi ruoli, giocando con il suo fisico esuberante e mediterraneo, spiritosamente pronta a spogliarsi, almeno per quel tanto che bastava a turbare gli italiani poco smaliziati di allora. Ma il cinema ha saputo usare anche la sua bella faccia intensa e drammatica, come fece Aldo Vergano in Il sole sorge ancora, primo film-documento sulle ragioni morali e sociali della Resistenza, affidandole il ruolo della giovane operaia che incoraggia il suo uomo alla lotta partigiana, contro ogni facile compromesso. Indimenticabile è la dolorosa Annunziata di Cristo fra i muratori, che Edward Dmytryck girò a Londra, non potendolo realizzare nell' America che allora, alla fine degli anni Quaranta, lo condannava per attività antiamericane. Nel film, un dramma di grandi tensioni sociali, Lea Padovani era una donna sulla quale la vita si accaniva con la miseria e con i tradimenti, ma che, grazie alla sua ostinata tenacia, riusciva a realizzare il grande sogno di una casa. Troppo libera per accettare gli schemi di una professione rigorosa come quella dell' attrice, Lea Padovani ha vissuto una carriera fatta di momenti gloriosi e di silenzi, alti e bassi che però non è stato il caso a determinare. Se non ha avuto la continuità che le avrebbe imposto il suo grande talento di attrice, Lea Padovani ha vissuto la vita che si è scelta. Senza rimpianti, momento per momento. di MARIA PIA FUSCO 25 giugno 1991