sabato 30 aprile 2011

private di ogni decorazione




Il verso del video Alberto Abruzzese L'Espresso 1989
Nel ricorso a corpi e parole, private di ogni "decorazione" e di ogni "sceneggiatura", "Videor" ha da (..)
Uccelli Oiseaux Saint-John Perse Romeo Lucchese Lerici Editori Milano 1965
Nous voilà loin de la décoration. C’est la connaissance poursuivie comme une recherche d’àme et la nature enfin rejointe par l’esprit, après qu’elle lui a tout cédé.  Eccoci lontani dalla decorazione. È la conoscenza perseguita come una ricerca d’anima e la natura infine raggiunta dallo spirito, dopo avergli tutto ceduto. 

venerdì 29 aprile 2011

la nota del danno

. Fuori dal furore percorreva
sinistramente la strada maestra di tutte le nostre furie
un uragano. Tale è la nascita - tale è la rivincita dei
poveri di spirito.

Contro dello spirito di misericordia
si levava unanime il mio cuore salace che scendeva toccato
dalla grazia ma non ritrovava il sole delle giornate salvo
in un grido d'affari. Per ritrovare il Caos bastava la
nota del danno. (L'indifferenza stessa.)

cose persone parole calcoli

http://www.pachube.com/?ll=31,0&z=2

Pachube.com is web platform that enables you to connect, tag, share and discover real time sensor and environmental data from objects, devices, buildings and environments around the world.

The key aim is to facilitate interaction between remote environments, both physical and virtual.

giovedì 28 aprile 2011

McLuhan l'imbecille

http://guydebord.com/
Solo Debord può dare dell'imbecille a un'altro geniaccio, McLuhan, in una vera discussione, dandogli ragione; può recuperare per un'intelligenza indispensabile che fluisce tra loro e noi.

Tuttavia, a dispetto delle sue frequenti intenzioni e dei suoi pesanti metodi per mettere in luce la dimensione piena di molte personalità considerate eccezionali, la società attuale, e non solo attraverso tutto ciò che ha sostituito le arti al giorno d’oggi o attraverso i discorsi al riguardo, dimostra molto più spesso il contrasto la totale incapacità si scontra con un’altra incapacità paragonabile; impazziscono, e fanno a gara per mettersi in rotta. Succede che un avvocato, dimenticando di figurare in un processo solo per rappresentare una determinata causa, si lasci influenzare sinceramente da un ragionamento dell’avvocato suo avversario, anche quando tale ragionamento non è più rigoroso del suo. Inoltre succede che un indiziato; innocente, confessi momentaneamente un delitto che non ha commesso; per il semplice motivo che era stato colpito dalla logica dell’ipotesi di un delatore che voleva ritenerlo colpevole (caso del dottor Archambeau, a Poitiers, nel 1984). 
Lo stesso McLuhan, il primo apologeta dello spettacolo, che sembrava l’imbecille più convinto del suo secolo, ha cambiato parere scoprendo finalmente, nel 1976, che la «pressione dei mass media porta all’irrazionale» e che sarebbe diventato urgente moderare il loro uso. In precedenza il pensatore di Toronto aveva passato vari decenni a meravigliarsi delle molteplici libertà procurate dal «villaggio planetario», istantaneamente accessibile a tutti senza fatica. I villaggi, contrariametite alle città, sono sempre stati dominati dal conformismo, dall’isolamento, dalla sorveglianza meschina, dalla noia, dalle chiacchiere ripetute all’infinito sulle stesse famiglie. Ed è così che ormai si presenta la volgarità del pianeta spettacolare; in cui non è più possibile distinguere la dinastia dei Gtimaldi-Monaco, o dei Borboni- Franco, da quella che aveva sostituito gli Stuart. Tuttavia oggi certi discepoli ingrati tentano di far dimenticare McLuhan e di rispolverare le sue prime trovate, puntando a loro volta a una carriera nell’elogio mediale di tutte le nuove libertà da «scegliere» in modo aleatorio nell’effimero. E probabilmente rinnegheraono se stessi più rapidamente del loro ispiratore. 
Lo spettacolo non nasconde che l'ordine meraviglioso che ha istituito è attorniato da alcuni pericoli. L’inquinamento degli oceani e la distruzione delle foreste equatoriali minacciano il rinnovamento dell’ossigeno della Terra; il suo strato di ozooo stenta a resistere al progresso industriale; le radiazioni di origine nucleare si accumulano in modo irreversibile. Lo spettacolo cooclude semplicemente che ciò non ha importanza. Vuole discutere solo sulle date e sulle dosi. E, solo a questo proposito, riesce a traoquillizzare; cosa che una mente prespettacOlare avrebbe giudicato impossibile
I metodi della democrazia spettacolare sono molto flessibili, contrariamente alla semplice brutalità del Diktat totalitario. Si può cossaesvare il nome quando la cosa è stata cambiata segretamente (della birra,. del manzo, un filosofo). Si può anche cambiare il nome quando la cosa è andata avanti segretamente per esempio in Inghilterra la fabbrica di trattamento delle scorie nucleari di Windscale è stata indotta a chiamare Sellafield dove ha sede per meglio dissipare i sospetti, e dopo un incendio disastroso nel 1957 (..)



Guy Debord. Commentari sulla società dello spettacolo, XIII , 1988

mercoledì 13 aprile 2011

Nuovo Olimpia


[2004] new videor

Dopo un decennio di presenza in rete del sistema informatico [1994] Videor viene da pensare al lavoro ininterrotto di tutte le persone che hanno creduto nel media digitale, quando ancora questo era alquanto bistrattato, e che ancora oggi credono nella libera espressione della comunicazione in un mondo regolato da sistemi che impogono all'utente-cliente delle libere scelte ben definite a priori. Libertà comunicativa, elemento questo che Videor ha mostrato fin dalle sue origini di videorivista [1988], fino ad arrivare ad oggi, tramite i suoi portavoce, alla presenza in diverse realtà culturali italiane di alto livello, facendo apprezzare e conoscere il suo non modello comunicativo. Videor è infatti non solo stile, non solo contenuti e soprattutto non solo contenitore. Videor è insieme di esperienze diverse, realtà e apparenza, arte e artista tutti uniti in forma non distinguibile, ma liberamente (non semplicemente) fruibile attraverso una struttura che non è solo digitale ma soprattutto umana. Una ricchezza questa che aumenta con il tempo, riportando alla luce tesori dimenticati, o forgiandone di nuovi ogni volta che se ne presenti l'occasione. E per questo che oggi Videor si prepara ad un nuova rinascita, ma non come fenice che risorge dalle sue ceneri, bensi come fiera sopita che si risveglia dal letargo invernale e si prepara alla nuova stagione. Rinascita che riguarda ogni aspetto del sistema, dalla cooperazione con forze nuove, al rinnovamento dei precedenti legami, ad un nuovo motore pulsante, per giungere infine ad un sistema dove cultura e tecnologia diventano un unicum da godere e non da subire.

sabato 2 aprile 2011

Teatro nudo

il difficile imprendi nel suo facile
ed adopera il grave nel suo lieve
Lao Tse
Sono arrivato al teatro per una strada, credo, così insolita che può darsi non sia neppure una strada. Può darsi benissimo che sia tutta una divagazione: nondimeno la cosa mi appassiona, e intendo andare avanti e indietro, su e giù, dentro questo spazio teatrale che mi sono aperto fruendo, probabilmente, di una infinità di suggestioni ma senza badare, di fatto, a nessuno.
Accenno qui a due premesse anche se possono apparire scontate. Quello che mi ha sempre attratto nel teatro è la tensione particolare creata dal dialogo, cioè la forma stessa del teatro, il suo linguaggio. Nondimeno, fino a otto mesi fa, non avevo fatto alcun serio tentativo di scrivere una commedia. Qualche abbozzo sùbito lasciato, due o tre assaggi di scene a distanza di anni l'uno dall'altro e nati da occasioni esterne. Insomma: nessuna persuasione, una passione incostante ma profonda e tante riflessioni e riletture di testi moderni e di qualche antico.

Due sole letture emozionanti di testi contemporanei: Beckett soprattutto, e Pinter. Idea di due linee di teatro moderno: l'una che passa per gli espressionisti tedeschi e fa capo a Brecht, l'altra che da Cecov attraverso Pirandello giunge al primo Innesco e a Beckett (ma sono, s'intende, due schematizzazioni, tant'è vero che includo in questo secondo filone il teatro di Jarry e dei futuristi). Seconda premessa: la mia esperienza,bene o male, di scrittore di poesie e di critico della poesia a me contemporanea.
L'interesse per nuove costituzioni linguistiche e per il dialogo tra poeta e lettore furono (e restano) i due criteri naturali che presiedettero alla operazione involontariamente clamorosa dell'antologia I NOVISSIMI a cui lavorai dall'agosto '60 al gennaio '61. Nell'introduzione parlai della visione «schizomorfa» del poeta contemporaneo, e ne riassumevo i caratteri tipici: la discontinuità del processo immaginativo l'asintattismo / la violenza operata sui segni cioè la giustapposizione e compresenza di vari ordini di discorso / la scomposizione e ricomposizione della struttura sintattica / la semanticità della frase sospesa o interrotta dal premere di altre frasi / l'asprezza o l'atonalismo del metro. E parlai del vero «contenuto» come di ciò che la poesia fa sul lettore proprio mediante i suoi giochi linguistici. Accennai anche all'esaurimento storico di certe categorie che in passato avevano reso poetico il linguaggio «contemplativo» e «argomentante» del vecchio logos illuministico e poi romantico (tutti e due degradati, giustamente ma pure inefficacemente, nel crepuscolarismo).
Devo riconoscere oggi che questa teoria poetica mi si adattava soltanto con qualche mediazione, e direttamente era verificabile soltanto in tre o quattro delle mie poesie più recenti. Fu in quel tempo, dopo l'uscita dell'antologia, che mi misi a sperimentare il collage. Non avevo un programma ben definito, mi spingevano quelle ambizioni teoriche, riflesse chiaramente nel lavoro dei miei amici e nella mia ricerca. Ero stupito e divertito dalle inedite possibilità semantiche dei brani di giornale (titoli, occhielli, sottotie spesso oltre l'intenzione del giornalista): ritagliando e rincollando, quei brani di lingua usata e spesso forzosa mi si componevano e ricomponevano quali «pezzetti percettivi» di un mondo linguistico compiutamente diverso da quello che avevo conosciuto al principio della mia poesia in versi. Qui la lingua ambiva al significato più intenso; prima di essere «montati», i sintagmi erano lavorati dalla coscienza; ne risultava un mondo fissato nella dimensione del pensiero e non in quella dell'oggetto. La dicibilità non era vissuta come un campo, ma piuttosto quale discesa in un pozzo. Invece, nell'operazione del collage la dicibilità, sia pure sconnessa slabbrata e priva della profonda costrizione del sogno, si riapriva enormemente: nel collage saggiavo i quanti di frustrazione e la carica di rivolta, l'umanità e la beffa che si potevano immettere nel mondo linguistico meno «poetico» che conosciamo. Andando avanti nella ricerca (e nel gioco che questo tipo di esperimento comporta, almeno quale misura precauzionale) anche frasi e brani ricavati dallo stesso contesto dei giornali cominciarono ad affermare una loro strana vitalità. Richiami di cronaca, spunti di aneddoti, piccoli o grandi simboli impreveduti: nel trascrivere il testo degli ultimi collages fatti nei primi mesi del '63 mi accorsi che non erano che impasti dialogici. È di qui che comincia il mio spazio teatrale. Ora prendo il mio dialogo dove lo trovo, ascolto i discorsi al caffè e sulle porte dei negozi, considero una fortuna i «contatti» telefonici, e leggo sempre i giornali in quel modo «materico» di cui mi son fatto un'abitudine e che corrisponde in realtà al modo più frequente con cui la gente legge effettivamente. Non finisco di stupirmi di come la gente parla e di come la gent e legge.
Nel mio procedimento c'è senza dubbio più di una analogia con quello che seguono certi pittori della pop art. Non so se sia, come dice il mio amico Paolo Emilio Carapezza, sulla scia di Adorno, un modo (l'unico, per il momento) di riscattare da degradazione del logos a utensile»; è certamente un modo (l'unico, per il momento) di riscoprire la necessità del dialogo nella specifica sua forma drammatica. È la natura del procedimento che mi interessa, non la sua occasionalità empirica: come ho preso a trascurare il collage vero e proprio, una volta scopertane l'interizione (che in principio ignoravo: a tutto pensavo fuorché al teatro), potrò in avvenire abbandonare il bricolage dei «pezzetti percettivi» e magari inventare direttamente l'oggetto teatrale. Ma / bene inteso: valga quel che valga / la dimensione che ho creduto di scoprire resta essenziale. Naturalmente, l'operazione del collage ha due aspetti: il bricolage, cioè la raccolta e il deposito dei materiali; in secondo luogo: è un sistema di proiezioni (nel senso psicanalitico) e, viceversa, un repertorio di fenomeni «esterni» (gli «altri», il mondo). Al montaggio, poi, deve soccorrere un problema, un'invenzione guida. Ma la partitura che ne risulta deve comportate la possibilità di letture e interpretazioni sempre differenti. Il teatro deve apparire quella cosa insieme tangibile e illusoria che di fatto è.

A questo punto spero che sia chiaro perché non voglio identificare i personaggi e descrivere nel contesto l'azione scenica. Dirò, con una lapalissade, che per me il linguaggio teatrale è tutto il teatro. Tendo all'eliminazione delle zeppe, le riduco al minimo. Le battute sono tutta l'azione e se c'è, nei miei brevi testi, un'ambizione è precisamente quella che il lettore (o l'ipotetico regista) «sentano» immediatamente (fuori battute nella partitura, e così inventano la loro storia. Ciò che deve essere nel teatro è il dramma, e la battuta deve contenere in sé tutto: gesto, personaggio (uno dei tanti possibili), configurazione dello spazio teatrale (non necessariamente un fatto).

Pirandello non ha proprio insegnato niente? E che importa l'azione nel Re Lear o nell'Amleto o nel Coriolano? Dov'è che nel teatro accade qualche cosa? Nella battuta in verità che cosa accade? Non lo so, non voglio saperlo: la lettura o la recitazione facciano il dramma, facciano le loro cento parti in commedia.

Naturalmente, nella misura in cui le mie piccole partiture teatrali si allontanano dalla nozione corrente di manufatto drammatico, io mi sento autorizzato a chiamare «poesie di teatro», non proprio nel senso di Cocteau ma perché muovendo dalla più umile e occasionale origine le battute vi lavorano a suscitare o risuscitare nella forma quella liberazione a cui aspii-a la poesia. Può darsi, come ho detto in principio, che sia tutta una divagazione; a ogni modo, la buffa strada che mha condotto al teatro mi concede ora di intravedere un rapporto con la «Vita nuda», di penetrare nello spazio dramma-i ico tale e quale, di lasciarmi andare, per dirla 1,011 John Cage, dal niente verso qualche cosa.