lunedì 15 ottobre 2012

Uno stupido

 La voce di Strange improvvisamente esplose come un tuono.
— Senta, Johnson, Morse può essere un idiota, ma non è stato
mai uno stupido! Sia ben chiaro!

Per Johnson la differenza tra "idiota" e "stupido", che fino a
quel momento aveva praticamente considerato sinonimi, era
chiaramente al di sopra delle sue capacità etimologiche, e
rivolse perciò uno sguardo perplesso al suo capo che continuò:
— C’è chi qualche volta ha ragione per i motivi sbagliati, ma
Morse molto spesso ha torto per le ragioni giuste. Le ragioni
giuste.. mi capisce?  Anche se a volte beve troppo..
dal greco: [idiotes] uomo privato, da [idios] proprio

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domenica 14 ottobre 2012

Massimiliano Parente, da dove spunti?

rintracciamo e volentieri rilanciamo  http://www.ilgiornale.it/news/cultura/critica-milita-tanto-e-produce-poco-solita-compagnia-giro-846517.html
È significativo che esistano critici militanti e non fruttivendoli militanti, operai militanti, avvocati militanti, escort militanti.
I critici in Italia militano, e non ce n'è uno dei militanti viventi che abbia scritto un solo saggio capitale, capace di durare nel tempo, come Bachtin su Dostoevskij, Steiner su Tolstoj, Barthes su Sade o Bloom su Shakespeare. E prima o poi, perdonate, bisognerà anche sfatare certi miti: Samuel Beckett dice in settanta pagine su Proust tutto quello che Giacomo De Benedetti non è riuscito a capire in una vita. E Debenedetti era uno bravo.
Il militante da noi milita per occupare posti di lavoro, terze pagine, cattedre universitarie, case editrici con i quali pubblicare librini per fare bibliografia. O saggi di un'autoreferenzialità mistico-massonica: la critica che riflette sulla crisi della critica, quando non il critico di se stesso, tipo Berardinelli e La Porta che si parlano addosso l'un l'altro o ti spiegano come vedono il mondo loro, che francamente chissenefrega.
Il militante lo riconoscete subito anche da un'altra cosa: appena può ti cita Pasolini, il passepartout dell'engagé preoccupato dei destini del mondo. Non esiste più la critica a cui George Steiner dava il compito di riconoscere i capolavori, sono tutti sociologi e parlano solo di sociologia applicata alla letteratura, cioè leggono un romanzo per ragionare sulla crisi economica, l'alienazione, l'Italia di oggi, l'Italia di ieri. 
Anche Carla Benedetti, la critica che scrisse Il tradimento dei critici, cosa ha prodotto di fondamentale? Nell'ultimo libro, Disumane lettere, uscito l'anno scorso, cercava di coniugare cultura umanistica e global warming. Per carità sempre meglio di Non incoraggiate il romanzo di Alfonso Berardinelli, a cui fece eco Meno letteratura per favore! del fido Sancho Panza La Porta, autore del famoso L'autoreverse dell'esperienza che sosteneva la fine dell'esperienza, ma come gli verranno.
Tutto questo con varie crisi d'identità di categoria, perché a forza di militare tra di loro si innescano loop comici, tipo Massimo Onofri che in un libro si domanda
«Chi è il critico letterario? Cosa fa il recensore quando recensisce qualcosa? Di cosa parlo quando parlo di recensioni? La recensione è un genere letterario specifico, o non è, piuttosto, una modalità del pensiero e della scrittura, tale da poter coincidere con la critica letteraria in quanto tale o, per lo meno, con un suo modo d'essere costitutivo?». 
Mentre certi militanti più mondani hanno trovato un modo d'essere costitutivo a Villa Giulia, diventando giurati o concorrenti degli Strega, spesso entrambe le cose, come il critico militante Emanuele Trevi che scrive romanzi per vincere lo Strega, o Gabriele Pedullà, giurato del Premio Strega, figlio del vecchio Walter Pedullà, giurato dello Strega, e via così, una bella combriccola di militanti e amici e i figli della domenica. 
Tra l'altro, ve lo immaginate come potrebbe mai essere autorevole Harold Bloom se poi si presentasse a un premio con Qualcosa di scritto?



O peggio ancora con Una storia romantica di Antonio Scurati  A proposito di Scurati  non gli basta aver dilapidato decine di migliaia di euro comunali in insignificanti baracconi letterari (Officina Italia), continua a voler pensare e così esce in questi giorni con un nuovo saggio per Bompiani che, avviso la Protezione Civile, sarà inflitto ai poveri studenti. 
Titolo: Letteratura e sopravvivenza, sottotitolo La retorica letteraria di fronte alla violenza. 
 Uno sfracellamento di attributi maschili indescrivibile, ma anche un altro esempio di degenerazione onanistica, neppure più sociologica, perché con Scurati siamo oltre: siamo alla sociologia della critica della sociologia applicata alla sociologia, una sega circolare senza capo né coda. L'assunto è tutto sulla quarta di copertina, o almeno ci prova, il pensiero di Scurati è troppo complesso: «Il libro individua l'essenziale della parola letteraria nel contributo che la sua componente retorica e comunicativa fornisce alla lotta interminabile con cui la specie umana - costantemente sottoposta a una minaccia di autoestinzione- tenta faticosamente di mantenersi in vita». 
Qui l'unico che tenta di mantenersi in vita è il lettore, e se aprite il libro c'è una lunga introduzione, una specie di orazione funebre, intitolata «La dischiusura del campo letterario». Nella quale Antonio Scurati si dischiude come una Sara Tommasi ermeneutica per spiegarvi la necessità di affrontare «la topica retorica applicata alla letteratura e la logica che sottende la qualità di “logica del vivente”», ossia «il motivo della sopravvivenza che fin dal titolo quale orizzonte primario e non trascendibile in cui si accampa l'impresa letteraria». Non crediate che tutto questo trascendibile sia senza sforzo, Scurati i sforza e precisa: «Il mio personale sforzo mira a individuare il punto di contatto tra quella che, indubitabilmente, è un'attività di elaborazione di simboli culturali, e quella che riconosceremo come una “logica del vivente”: discorso tutto proteso alle condizioni basali della sopravvivenza...». Ecco, per dire, magari questo discorso così proteso sarà utile al governo Monti e alla spending review per evitare i brutti tagli lineari, e gia che ci sono segnalerei all'attenzione del governo anche il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza, di cui Scurati è membro, a cosa serve? Anzi, dovremmo trovare il modo di tagliargli direttamente i viveri, a Scurati e a tutti i militanti. Cioè almeno togliergli le cattedre, mirando bene, al centro della qualità logica del vivente, alle condizioni basali della loro sopravvivenza

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venerdì 12 ottobre 2012

il pretendente della verità

Il pretendente della 'verità' - tu? così schernivano
no! soltanto un poeta!
un astuto, rapace, strisciante animale
che deve mentire,
che sapendo, volendo, deve mentire,
bramoso di preda,
variamente mascherato,
maschera egli stesso,
egli stesso preda
'questo' - il pretendente della verità?...
Soltanto pazzo! Soltanto poeta!
Che parla in modo variopinto,
che dalle maschere di pazzo parla confusamente,
arrampicandosi su menzogneri ponti di parole,
aggirandosi, strisciando
su arcobaleni di menzogne
tra falsi cieli-
'soltanto' pazzo! 'soltanto' poeta!...
Questo- il pretendente della verità?...

[^^]

giovedì 11 ottobre 2012

[2010-2020] Matricole, linguaggi e diversi

"E cche io so' Pasquale?!" Antonio De Curtis in arte Totò

[2010-2020] Matricole e linguaggi

professore-salve-sono-pasquale-penso-che-di-me-si.. ricorda,io ho fatto il suo esame di informatica martedi 15 e non l'ho superato come quasi tutti....io sicuramente la bocciatura l'ho meritata,perchè si dice CARTA CANTA....però senza offenderla volevo darle una personale opinione: eravamo in 4 e siamo stati bocciati in tre,secondo me a questo punto non è un problema di noi studenti ne tanto meno dello studio,perchè informatica da 2 crediti sul computer non è un esame da preparare....informatica è un pò come la matematica o la sai oppure no,non si studia....
non mi permetto di dire assolutamente didire ke è colpa del docente anzi....diko ke secondo me se vengono bocciati 3 ragazzi su 4 da parte del corpo docente secondo me c'è da riflettere sul programma stabilito per l'esame....da ke mondo e mondo il world a livello base lo sappiamo usare tutti....excell invece non è un programma che di solito noi ragazzi usiamo almeno non tutti giorni quindi è normale avere notevoli difficoltà,secondo me su un esame cm informatica da due crediti si potrebbe essere meno fiscali e più risolutivi,magari evitando di far fare all'esame passaggi un pò sofistikati,solo questo altrimenti la bocciatura l'ho meritata perchè ho fatto un macello....tt qua...

riassunto delle puntate

mercoledì 10 ottobre 2012

Undici milioni di baionette

Me ne uscii tentando di dare un senso a quelle scelte (la comunicazione) e un alibi alla mia (fingere un'insegnamento). Mi occupai di callcenter e di commerci in rete.
La Montea, omen nomen, sopra Belvedere vegliava su di noi, ma ci lasciammo le penne lo stesso.  In primis i ragazzi, io a ruota. Eppure non c'era altro da fare: uscirne ma uscirne alla grande, tentando l'impossibile, prendendo il toro per le corna. Olè.
 Premetto che io penso alla scuola come Franco Basaglia pensava alle istituzioni manicomiali, per chiuderli aprendo al territorio, posso confrontare con la mia esperienza personale due altri decenni -  a distanza trentennale (Anni 70 / AnniZero):
  • I processi di inclusione degli anni sessanta con la Scuola Media Unica e infine con l'accesso libero alle Scuole Medie Superiori e all'Università
  • La riforma dei corsi universitari con l'introduzione della Laurea Triennale e Specialistica
  E vengo subito al punto. La riforma io la vedo a suo tempo dall'ottica dei Corsi di Laurea in  Comunicazione di Arcavacata nei quali la ragione sociale è quella dei linguaggi visti da ogni possibile angolazione con una forte istanza alla rIdEfinizione operativa degli ambiti disciplinari in sede dipartimentale - ed è qui che avviene il disastro, quando i docenti/ricercatori recalcitranti boicottano ben presto la riforma ed il lavoro di ricerca dipartimentale sulla definizione degli ambiti didattici e disciplinari e, d'altro canto, tollerano lo stato delle cose soltanto in vista della creazione di nuove cattedre d'insegnamento.
  Le iscrizioni proliferano infatti sull'equivoco dell'accesso alla professione giornalistica basata su una buona formazione di tipo liceale.
  Il mio gruppo di lavoro accetta la sfida delle nuove tecnologie della comunicazione contando sulla forza del digitale e della rete per risolvere le resistenze, ed io accetto anche di misurarmi nella funzione docente per piegarla alle nuove logiche della comunicazione digitale.
  Una storia decennale che racconto anche in un libro che non vedrà mai l'inchiostro di un libro.

Adesso, alla prova del lavoro, qualche milione di disoccupati e, of course, la Colpa è della scelta di studiare Comunicazione, magari ad Arcavacata in ambito umanistico. 
Non è vero, la scelta era giusta e direi sacrosanta, la sceltà linguistica sopra tutte, quella della formazione generale (di cui quella generazione era totalmente sprovvista), quella dei due tempi, del  tre+due, l'agorà ideale tradotta in un campus amicale.
Non sarebbe stato giusto neanche mettersi in competizione con i comunicatori di scienze economiche, o con i tecnici delle information and communications technologies di ingegneria o matematica: si doveva, e lo si è tentato, ridefinire gli ambiti disciplinari, a partire dalla didattica e dai lavori di ricerca in ambiti dipartimentali.

Al progetto non è mancata una guida appassionata e valente, dei bravi docenti, una massa critica di studenti efficace con un 30-40% eccellente e motivato, il momento storico favorevole (il boom delle economie della comunicazione), no, non sono bastati. Ci chiediamo perchè?

Stand all'Università



Stando (da Stand) nell'Università più puntualmente, anche come insegnante, in questi anni d'inizio del secolo zero, ho avuto modo d'osservare più da vicino, intanto un buon campione dei nati negli anni '80 avanti secolo (circa 11 milioni di individui in tutto) – ma di questo diremo più oltre. I giovani studenti sono un buon punto di osservazione per vedere oltre; cosiddetti digitali, nell'università mettono in evidenza l'assoluta estraneità degli adulti-docenti al mondo delle tecnologie, che sono poi in sostanza tecnologie della conoscenza, quindi marcano l'estraneità dei loro insegnanti, e delle loro ricerche, al mondo tout court. Già perchè i ricercatori docenti del mondo accademico in Italia hanno solo marginalmente contatto con la ricerca nel mondo, dalla quale essi non dipendono e che fa a meno di loro senza particolari patemi.
Essi sono i famosi bravi a scuola, se vogliamo capirci in modo spiccio. Altri che per necessità vi passano attraverso vanno a cercarsi gloria e favori altrove, picchiando duro ed essendo pestati a dovere a loro volta. Queste anime candide invece prendono solo le sculacciate dai loro padri-padroni, magari con sguardi furenti, ma spesso con occhi bassi di sdegno. E' curioso come la loro bravura si riproduca con cooptazioni interne ed esterne, ma questo attiene a depravazioni del gusto che non oso indagare. Nelle culture anglosassoni i ricercatori delle università hanno una permanenza media di due anni nel ruolo, vale a dire che accanto ai pochi che danno continuità al sistema accademico, vi è una gran maggioranza che fluisce e rifluisce nelle varie articolazione della società che produce intorno. In Italia sono Ricercatori A Vita, e così sia.note-contro-note /2012/10/massimiliano-parente-da-dove-spunti eh?
Mi trovai ad insegnare, a sostenere il ruolo docente, per una buona idea del Dipartimento universitario di attingere al mondo della produzione e delle professioni al fine di integrare e stimolare la didattica dei nuovi corsi triennali, con un'articolazione degli studi necessaria alla realizzazione in atto dell'università di massa dei grandi numeri. Sappiamo bene com'è andata a finire: questi docenti minori vivacchiano al margine dell'area degli “eletti” in un sistema che non dialoga con l'esterno e che quindi li seleziona di conseguenza come impiegati di complemento (salmerie, logistica, sanità, etc). Nel mondo delle tecnologie della comunicazione siamo ritornati così ai tecnici, di formazione ingegneristica e strumentale, formati in regime di separazione consensuale in questa obsoleta formulazione disciplinare – che la nuova università avrebbe dovuto ridiscutere in corso d'opera nel pieno della ricollocazione dei saperi - ignari dei processi linguistici sottostanti se non in mirabili eccezioni che dialogano intensamente con il loro scripting a tutto campo con i saperi più disparati e imprevedibili.
poi, continua

martedì 9 ottobre 2012

Scrivere per fare matematica

[palinsesti-scrittura]
Dice Emma (Castelnuovo) che insegnare matematica è il metodo migliore per insegnare a scrivere ai ragazzi - a noi lo aveva detto anche Peppino Plastina a lezione. Perchè?
Mah, perchè è più semplice - ad una data età, da giovanissimi, quando si riflette sulla propria scrittura -   Pitagora di Kant, per esempio. Di sicuro ragionare insieme per esprimere algebricamente delle questioni è più concreto ed individuabile, scandibile, del mettere a punto un'idea della mente estesa o l'estetica di Leopardi.


Noi nel reference facevamo gli esami su documenti condivisi (dicesi cloud), scrivendo a palinseto sovrascrivendoci a vicenda. Ecco un altro modo, da adulti, di condividere l'errore..e la sua correzione.

Monte de' cocci


lunedì 1 ottobre 2012

Bruce Sterling

Venezia, 1995: "Non risolvete i problemi! Rischiereste di perdervi quel che succederà e sta succedendo..."


Punto primo: digitare un problema in un motore di ricerca, vedere se qualcun altro l’ha già risolto.

Punto secondo: scrivere del problema nel proprio blog e studiare il rizoma dei commenti.

Punto terzo: sintetizzare il problema in centoqu
aranta caratteri e metterlo su Twitter, vedendo se si riesce a ridurlo in quelle dimensioni e se ci sono delle risposte.

Punto quarto: liberare il problema come “open source”, fornire alcune istruzioni operative che diano conto dello stato della ricerca e vedere se la comunità riesce a farla progredire.

Punto quinto:- aprire un social network intitolandolo al problema e vedere se qualcuno gli si aggrega attorno.

Punto sesto – fare un video del problema, caricarlo su Youtube, vedere se si viralizza e se qualche convergenza dei media si aggrega intorno al problema.

Punto settimo: creare una “design fiction” fingendo che il problema sia già stato risolto. Creare alcuni gadget, applicazioni o prodotti che abbiano qualche attinenza con il problema e vedere se qualcuno li costruisce.

Punto ottavo: accentuare o complicare il problema con tattiche multimediali interventiste.

Nono e ultimo punto: trovare qualche bella illustrazione nella raccolta di Flickr Looking into thePast.

(Se a questo punto non si è colto ciò che intendo per atemporalità allora non posso essere d’aiuto.)


[Atemporalità per l’artista creativo
Bruce Sterling]