sabato 29 aprile 2023

Cromo

 Il tonfo degli zoccoli sulle crude zolle mi restava metà della notte accanto. Mi destavo sorridente ma stanco. Cristina Campo, La Tigre assenza


Nel discorso

 

Michel Foucault

L'ORDINE DEL DISCORSO 

Nuovo Politecnico 51 1979

 Titolo originale L'ordre du discours Michel Foucault 1970

Copyright © 1972 Giulio Einaudi editore s. p.a., Torino Quinta edizione




venerdì 28 aprile 2023

Savinio


FAMIGLIE, Dai ricordi di giovinezza di Francesco De Sanctis: « La mattina, la mamma mi fece mille tenerezze. Si staccava il bambino dal petto, e mi avvicinava, ridendo, la mammella, con l'aria di chi dice: "Ti ricordi? "». Ci si domanda che cosa gli mostrava il padre.


FANATISMO. Il 26 ottobre 1786 Goethe arriva per la prima volta ad Assisi, si fa indicare il tempio di Minerva « costruito al tempo di Augusto e ancora perfettamente conservato», lo ammira lungamente e non meno lungamente ne scrive la sera stessa nel suo diario, poi riparte alla volta di Foligno senza aver messo pie- de nella chiesa di San Francesco. Goethe, come si sa, era avverso a qualunque forma di fanatismo e per questo se la diceva così poco con i culti e le religioni. Ma non è anche questa forse una forma di fanatismo di fanatismo rovesciato ?


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Esc




In questa collana 2017

© 1977 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT

SBN 978-88-459-3154-3



Da via Sibari al

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Bernini (il mio)

Innanzitutto una confidenza, riguardante uno, soltanto uno, dei molti motivi per cui, fra tutti i musei romani, la Galleria Borghese è quella che amo di più.

Tutti gli altri motivi - la sua amabile ubicazione nel verde di Villa Borghese, la riposante ragionevolezza della sua estensione (due piani e non più di venti fra sale, salo- ni e salette), infine la bellezza mozzafiato dei suoi Bernini e dei suoi Caravaggio: due artisti per la cui conoscenza una visita a questo museo è assolutamente obbligatoria - sono motivi ovvi e largamente condivisi. Ma il motivo a cui mi riferisco io è un po' più personale.

Si tratta di due piccolissimi quadri. Il primo misura appena 39 centimetri per 31; l'altro, un pochino più grande, 56 per 44. Sono due autoritratti di Gian Lorenzo Bernini, eseguiti - si suppone - l'uno intorno al 1623, quando Bernini aveva venticinque anni, l'altro dopo il 1635, quando ne aveva circa quaranta. Ignoro quale rango e quale importanza vengano attribuiti a questi due minuscoli dipinti dagli storici dell'arte. Immagino che essi ven-

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gano giudicati in tutto degni del loro autore, ma decisamente secondari e periferici nel quadro dell'opera di un artista celebrato, giustamente, soprattutto come scultore e architetto. Ma io li trovo semplicemente meravigliosi, magici, stregati,

Sono due autoritratti decisamente "romantici" (o, se volete, "protoromantici"). Nel primo, Bernini si è raffigurato come un giovane invasato, dalle guance leggermente scavate, la bella bocca severa come percorsa da un impercettibile fremito, i grandi occhi neri, spiritati, rivolti verso qualcosa di sgomentevole, come di chi stia fissando un oggetto vagamente spaventoso e insieme indicibilmente seducente, o forse qualcosa che è soltanto l'invisibile proiezione di una fatale ossessione interiore. Nell'altro, sul volto dell'artista quarantenne, i segni di quell'antica ossessione, di quell'invasamento giovanile, appaiono invece smussati non cancellati da una sorta di funesta spossatezza, da un di più di tetraggine e di amarezza, come se a quell'epoca Bernini fosse già da gran tempo, per così dire, avvezzo e rassegnato a fiutare nel proprio genio un indizio di sciagura.

Si dirà che questa è soltanto una lettura "psicologica", non meno banale che arbitraria, dei due piccoli autoritratti. E magari si aggiungerà che ciò che rende questi due dipinti storicamente e artisticamente ragguardevoli non è affatto il loro opinabile contenuto psicologico, bensì la verificabile qualità di una "tessitura" e di una "materia" in cui Bernini mostra di aver raggiunto, nell'evoluzione tecnico-formale del linguaggio pittorico, un livello pari a quello conseguito, in quegli stessi anni, dal suo coetaneo Velázquez.

Non discuto: forse è così. Resta però che ogni volta che capito in questo museo, ciò che m'induce a indugiare, ammaliato, davanti a quei due autoritratti più a lungo che davanti a tutti gli altri capolavori che li circondano da tutti i lati, è proprio il loro enigmatico - e per me inesauribile-fascino psicologico.

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A questo punto mi si obietterà che quei quadri per me sono oggetto non di un ragionato e igienico "interesse culturale", ma di un'insana mania, giacché solo una specie di fissazione può farmi scorgere in quelle due tele la più irresistibile attrattiva di un museo che del Bernini contiene, fra l'altro, le due sculture più eccelse (quella prima, prorompente affermazione del dinamismo barocco che è il suo Davide e quel prodigio di slancio lirico trasfuso nel più flessuoso e duttile dei marmi che è il gruppo di Apollo e Dafne), e in cui si possono inoltre ammirare:

⚫ il portentoso, icastico, arguto Ritratto d'uomo di Antonello da Messina; 

⚫ quella suprema espressione di nitida forza raffiguratrice che è la Donna col liocorno di Raffaello; una Venere di Cranach deliziosamente ambigua, maliziosa e stravagante, col suo sghembo cappellino sulla testa, il sorriso perfidamente puerile e il tenero corpo bislungo reso ancora più invescante e malandrino dal più impalpabile e derisorio dei veli;

  • una Danae del Correggio non meno leggiadra e fragrante graziosamente scomposta su un letto che s'indovina ancora caldo di amplessi;
  • quelle due stupende apologie della più ricolma, morbida, dorata opulenza muliebre che sono le due tele tizianesche intitolate Amor sacro e amor profano e Venere che benda amore;
  •  la solenne, sfarzosa, misteriosissima Circe di Dosso Dossi;
  • una squisita, dolce, trasognata Sibilla del Domenichino;

⚫ per non parlare, infine, delle sei tele - tutte strepitose - del Caravaggio esposte nella quattordicesima sala: il drammatico e possente San Gerolamo (quasi una staffilata di luce nelle tenebre); il dolce e benigno Giovane con canestro di frutta (sognante omaggio a un'adolescenza umile e mansueta); lo struggente Bacchino mala-

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to (immagine toccante di una giovinezza a un tempo in- ferma e bramosa, patita e desiderante, debilitata e nostalgica); l'inquietante San Giovanni nel deserto (aspra e pungente raffigurazione di una plebea, virulenta carnalità maschile); la spettacolosa Madonna dei palafrenieri (magistrale, sconvolgente fotogramma di un film dedicato all'intima, segreta regalità e divinità dei poveri); e infine l'atroce Davide e Golia (in cui il Bellori volle che il pittore avesse prestato il suo volto al gigante decapitato, e che resta una somma espressione di ciò che Roberto Longhi, riferendosi al gioco delle luci nel Caravaggio maturo, chiamò felicemente "il virile pessimismo dell'adombrare caravaggesco"); eccetera eccetera.

In mezzo a tanti tesori - concluderà il mio obiettore - soltanto un'incomprensibile fisima potrebbe fomentare una passione così smodata per due dipinti senz'altro pregevolissimi, ma non certo al punto da costituire le gemme d'un così ricco e abbagliante contesto.

Ma sì, la mia è un'irragionevole ubbia, un uzzolo inesplicabile, un capriccio forse radicato in chissà quale connessione inconscia. Talvolta infatti mi dico che, per un lettore fanatico dei Tre moschettieri quale io sono stato da bambino, il fascino di quei due autoritratti potrebb'essere legato a un'indelebile associazione, ovviamente agevolata dall'aura di primo Seicento in cui sono immersi i due dipinti, fra i due volti del Bernini - quello fremente di lui giovane e quello più cupo di lui più vecchio - e le figure, da un lato, dell'impetuoso D'Artagnan, dall'altro del fosco e romantico Athos. Temo, per giunta, di amare tanto quei due autoritratti anche perché nell'insieme dell'opera del Bernini, con quel loro fuoco trattenuto, mi sembrano perfettamente antitetici alla plateale demagogia della sua opera più conosciuta: quel colonnato di piazza San Pietro che a me, sempre a causa di inammissibili associazioni inconsce (vagina dentata? complesso di castrazione?), sembra purtroppo un'immane, terrificante mandibola divoratrice. Comunque sia, resta che tutte le volte che capito in questo museo...

E qui mi devo fermare. Non posso, infatti, continuare a fingere che la mia innocua mania non abbia finora incontrato altri ostacoli che il biasimo degli esperti, giacché da molto tempo ben altre sbarre le interdicono l'accesso ai suoi due piccoli oggetti di culto. Né è soltanto a me che quelle sbarre vietano il passo, ma a tutti i visitatori, sottraendo al loro sguardo non soltanto i due autoritratti berniniani, bensì tutta la quadreria (dieci sale su venti) del Museo Borghese.

Si tratta di sbarre dovute a un necessario restauro. I lavori, però, durano da ben quattro anni, e nessuno per giunta sa dire quanto dovranno durare ancora.


(1988)

è lui

If he is - se lui è -
 il suo cane
 è lui è lui è lui!

1980 con cerchi a mano libera alla lavagna

 

giovedì 27 aprile 2023

a che scopo

 ” Non ci sono problemi, tutte o quasi tutte scopano, le più belle un po’ meno delle brutte, perché sono belle e allora hanno l’idea di dover scegliere. Ma le altre, quelle che si devono contentare del primo che le invita a letto, scopano continuamente, perché ormai è così, l’abitudine, la vita. Pas même avec dignité. Elles couchent, simplement“.
#EnnioFlaiano
Diario degli errori.

Tutte le rea

Fare l'artista

 Goal! Le ragazze americane con facce diverse sui bus e l'inglese americano e lo stile e il fare

Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, e ora a Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura

La plasticità volumetrica delle figure dovuta al chiaroscuro. La ricerca intensa del senso della realtà. L’utilizzo poetico della prospettiva: empirica, non basata su calcoli matematici certi. La rappresentazione dell’uomo, vivo, e dei suoi sentimenti, delle sue emozioni. Queste caratteristiche lo rendono precursore del Rinascimento. Oltre ad abbandonare per sempre l’iconografia bizantina, ancora non del tutto scomparsa in Cimabue /  Artista / allestire piccoli spazi eventuali a parole nel fatti la mise en scène a il dramatis personae telematico digitale elettronico

Gombro tutto

 *si allestisce qualcosa che già esiste 🧷 allestire piccoli spazi eventuali a parole nel fatti la mise en scène a il dramatis personae telematico digitale elettronico 



mercoledì 26 aprile 2023

Prendere le misure*

 (docimologia*) giusta la scelta anche se non si capisce un'acca* 

Romeo and Juliet 1961 allestire piccoli spazi eventuali a parole nel fatti la mise en scène a il dramatis personae telematico digitale elettronico


A mille e mille

 Nel secondo tempo della sfida tecnico-liceo con il pienone degli studenti spettatori (e studenti giocatori protagonisti) scatta il confronto atletico: vinco la sfida uno-due scatenando il tifo. Come una vera partita con il pubblico. Non so ripeterà.





Calligrafia

 4. Errori dei comuni insegnamenti estetici:« la calligrafia ».

Ogni insegnamento, in quanto estetico, è costituzione dell'umana personalità; e tale perciò è, naturalmente, tutto ciò che noi consideriamo d' ordinario come insegnamento dell'arte. Ma tale, insieme con questo, ogni altro insegnamento di qualunque genere per la sua forma estetica.



L'insegnamento della calligrafia, del canto, del disegno, nelle scuole elementari, sono certamente insegnamento este- tico; e così, in ogni scuola, ogni insegnamento empirica- mente concepito come insegnamento di materie artistiche. Ma questi insegnamenti non ritraggono la loro esteticità, che è il loro valore didattico, dalla determinazione astratta, e falsa, del loro rispettivo contenuto; anzi, inconsapevoli come sono talvolta della loro intrinseca natura, degenerano in insegnamenti destinati invece a favorire, ad ostacolare e tur- bare lo svolgimento dello spirito come pura soggettività.


Esempio tipico l'insegnamento della calligrafia, vero tradimento del principio che l'insegnamento estetico sia la costituzione della personalità. Infatti, l'ideale di cotesto insegnamento per solito consiste nel ridurre lo scolaro a tale che riproduca fedelissimamente un modello di scrittura; in modo che ottima classe sarebbe quella in cui tutti aves- sero acquistato la stessa mano di scrittura, e ogni scolaro non fosse più capace di distinguere la propria tra quelle degli altri, avendone a poco per volta cancellato ogni tratto d'una propria fisonomia particolare. Laddove ogni opera DIDATTICA DELL' ARTE


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d'arte è opera nuova e originale, singolare perciò e inimita- bile, la bellezza della scrittura invece consisterebbe nell' estin- zione d'ogni originalità e singolarità: nella riproducibilità o riproduzione assoluta. Non importa se poi i modelli di bellezza calligrafica rimangano soltanto nei quaderni di cal- ligrafia, mentre tutte le belle scritture che si ammirano siano sempre seritture personali, caratteristiche, in cui s'accenna evidente il tratto dominante del carattere spirituale di chi serive!


5. Il « copiato » e il « dettato ».


Questo che salta agli occhi nell' insegnamento di calli- grafia, è pure il difetto comune a tutti gl' insegnamenti estetici orientati verso il concetto di un bello in sè, ogget- tivo: concetto, che è il disconoscimento radicale dell' essenza dell' arte. Siamo sempre lì: l'arte, « materia» d'insegna- mento, è, non strumento di educazione artistica, anzi osta- colo ai fini che questa educazione si prefigge, perchè l' arte non è una cosa fuori del soggetto, bensì lo stesso soggetto. Il fanciullo, che vede scrivere, scrive. E deve certamente seri- ver bello. Ma scriver bello non è scrivere in quel certo modo, ma scrivere a modo proprio; a quel modo, cioè, in cui egli imparerà a scrivere, se realizzerà se stesso nella sua serit- tura, e metterà tutto sè nell' atto dello scrivere, e non si distrarrà, ma si concentrerà in esso e insomma vorrà per davvero, e il più che egli possa, scrivere quello che ha da scrivere. Tutti i difetti della scrittura son difetti di negli- genza. E questa va corretta; e corretta essa, spunta la cal- ligrafia. La quale, intesa a questo modo, inchiuderà in se stessa gli esercizi del copiato e del dettato.



6. Il « comporre » ..

martedì 25 aprile 2023

Proust lettore di Balzac, Mariolina Bertini

 L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac, di Mariolina Bertini (Roma, Carocci, 2019), è un libro di non facile collocazione, forse proprio per la sua articolazione singolare: è un testo fatto a strati, che al tempo stesso vortica, en colimaçon, attorno a un’enigmatica colonna portante: il personaggio ‘eponimo’, Vautrin. In questo studio Bertini torna magistralmente su due grandi temi cui ha dedicato buona parte della sua produzione teorica e critica: la ricezione della Comédie Humaine (un territorio che riserva ancora qualche sorpresa) e l’atto di lettura in Proust. E, soprattutto, rende un appassionato omaggio a un personaggio paradigmatico che, se da un lato è assolutamente unico nel suo genere, dall’altro è un meraviglioso prototipo, un personaggio-matrice. Gli appassionati di Balzac sanno bene che il famigerato Vautrin viene da lontano, in quanto condensa in sé tratti di personaggi più antichi (persino arcaici), ma è altresì ‘carico’ di elementi nuovi e originali che fanno di lui un vero e proprio archetipo.



Questo mio tentativo di sintetica descrizione dell’argument del volume di Bertini non fa altro che riflettere la suggestiva concatenazione delle parole-chiave contenute nel titolo. L’unico lemma che è rimasto fuori è ombra. Accantonando l’accezione junghiana (che pure sarebbe interessante indagare), proverò adesso a concentrarmi sul concetto di ‘ombra lunga’: di proiezione che si estende fino a raggiungere anche autori e testi molto lontani nel tempo e nello spazio. Vautrin è un personaggio della Comédie Humaine che inizialmente si presenta come una figura minore, marginale, nell’opera-mondo balzachiana, ma che poi si ‘espande’ fino a diventare il perno di un’intera sezione dell’opera. Dopo il suo ingresso in sordina in Papà Goriot, questo personaggio ‘minore’ acquista un’importanza crescente, all’interno del ciclo balzachiano, e arriva a configurarsi come una sorta di vicario dell’autore stesso (o meglio: della funzione-Autore) sulla scena del testo: criminale incallito e inafferrabile, falso prete, impostore inveterato, manipolatore, corruttore, pedagogo perverso, mentore carismatico irresistibilmente attratto dalle relazioni asimmetriche (vecchio-giovane, maestro-allievo, potente-debole, ecc.) – con tutte le implicazioni omoerotiche e omosociali che esse comportano –, si impone presto all’attenzione del lettore come un regista interno al testo; un regista galvanizzato – ai limiti della mitomania – dalla propria efficacia, dalla natura demiurgica del proprio ruolo; e quindi anche leggibile come un’ipostasi dello Scrittore, come un’enfatica, ipertrofica, quasi grottesca versione di Balzac stesso.




Vautrin è orchestratore, burattinaio, regista di destini e di svolte narrative decisive – in questo erede di una lunga genealogia di ‘registi interni’ ai testi, in particolare ai testi per la scena; basti un solo esempio: il mozartiano Don Alfonso (e, nell’universo del romanzo, Mme de Merteuil, diabolica declinazione al femminile di questa controfigura dell’Autore, ma la lista potrebbe allungarsi a dismisura). Ebbene, Proust è quanto mai attratto da questo personaggio carismatico (e dalle affinità che lo legano a doppio filo al suo creatore) e lo trapianta nella Recherche innestandolo all’interno della fisionomia di un personaggio maggiore, il barone di Charlus. Charlus eredita dall’eroe balzachiano alcuni tratti essenziali: la vocazione pedagogica, l’imprevedibilità, il culto del segreto, il culto dell’amicizia virile ‘asimmetrica’, il paternalismo perverso, ecc. Certo, Charlus – aristocratico di alto lignaggio – non può vantare un pedigree canagliesco e picaresco qual è quello di Vautrin, ma anche in lui si possono ravvisare quegli elementi di ambiguità, doppiezza, follia e mitomania che fanno la grandezza del suo modello balzachiano. Nell’Introduzione, Bertini sviluppa un’intuizione di Gaëtan Picon, che vede in Vautrin “il genio stesso del romanzo” (p. 19): “Sulle rive della Charente, nel finale di Illusioni perdute, Vautrin-Herrera esibisce i poteri che ne fanno un double del romanziere: il genio con cui sonda, al pari del Dio biblico, i cuori e le reni; la conoscenza dei machiavellismi della diplomazia e dei segreti della storia; il dono di dominare la volontà degli altri e di plasmarne il destino. […] Avatar e parodia dell’eroe balzachiano, il barone di Charlus incarna nel cuore della Ricerca, la verità secondo Balzac; la verità di cui è portatrice quell’ombra di Vautrin che si allunga, temibile e familiare, sulle pagine di Proust” (pp. 19-20). 


Sul tema dell’identità (sociale, sessuale, ecc.) come frutto di una complessa negoziazione che, tanto in Balzac quanto in Proust, sfida – spregiudicatamente – persino le leggi della verosimiglianza vorrei soffermarmi, sempre sulla scorta di Bertini: in una pagina famosa delle Jeunes filles en fleurs Charlus appare, agli occhi del protagonista, in una versione quanto mai perturbante; si tratta della prima vera e propria epifania del mondo sotterraneo di Sodoma, che irrompe nel romanzo – manifestandosi alla coscienza ancora impreparata del protagonista – attraverso lo sguardo concupiscente di uno dei suoi abitanti, il più illustre. Gli occhi del barone, “dilatés par l’attention”, sono fissi su di lui; la sua espressione, insieme ad altri tratti sospetti della sua figura e del suo atteggiamento (al tempo stesso guardingo e losco), fa pensare a un “folle”, a una “spia”, poi a un “topo d’albergo”, e infine – di nuovo – a un “ladro” o – attenzione – a un “alienato”… Il giovane eroe della Recherche è ancora ingenuo e miope, ben lontano dalla soluzione del mistero che quel singolare personaggio rappresenta; l’autore si diverte a far confliggere l’ingenuità e l’esiguità del bagaglio esperienziale del suo protagonista con la consapevolezza e la cognizione delle cose del mondo di cui il Narratore è provvisto. Molto si è scritto su questa straordinaria epifania del Sodomita nella Recherche (basti citare Stanza 43 di Mario Lavagetto).




Quel che più ci interessa, qui, è coglierne la scaturigine squisitamente balzachiana, e sarebbe interessante soffermarsi anche sul tema della doppiezza e dell’identità come frutto di un complesso di operazioni (simulazioni, inganni e autoinganni) messe in atto dai due personaggi di Vautrin e di Charlus; mi limiterò a notare che Proust si diverte a rovesciare, per certi versi, il modello balzachiano: Vautrin è un criminale e un impostore di professione, amante dei travestimenti e degli eteronimi; Charlus è soltanto un personaggio d’alto affare che conduce una doppia vita; a suo modo spregiudicato ed eccessivo (come il protagonista scoprirà incontrovertibilmente nella parte ‘infera’ del romanzo), ma al tempo stesso, per forza di cose, attentissimo alla propria rispettabilità e desideroso di non perdere i privilegi legati alla propria posizione sociale. 


Bertini, come abbiamo detto, è molto attenta a due questioni strettamente collegate: lo stile di lettura di Proust e la ricezione di Balzac da parte di un orizzonte d’attesa molto ampio e variegato. Il suo saggio è, in certo qual modo, un elogio della grande disinvoltura con cui Proust maneggia modelli, letture, autori d’elezione. In uno studio che per Bertini è di capitale importanza (Lucette Finas, Il raggio della lettura [2007; ed. or. Le toucher du rayon: Proust, Vautrin, Antinoüs, 1995]) si insiste, da un lato, su di una concezione della lettura decisamente innovativa, dall’altro sull’importanza della ‘cattiva memoria’ soprattutto rispetto al funzionamento del laboratorio creativo dei grandi narratori. Proust, infatti, nel citare a memoria (ed erroneamente) un episodio di cui è protagonista Vautrin, esplicita tratti del personaggio che in Balzac erano in ombra. Questo ‘lapsus di lettura’ è quanto mai eloquente e gravido di conseguenze (siamo ancora all’epoca del Contre Sainte-Beuve: un ‘saggio narrativo’ incompiuto che, com’è noto, rappresenta il più importante embrione del romanzo maggiore). Già in uno scritto giovanile – Sur la lecture (1905) – Proust rigetta una visione della lettura (di derivazione umanistica) come “conversazione” dotta e sofisticata con gli Auctores, a tutto vantaggio di una concezione dell’atto di lettura come “stimolo”, come esperienza creativa, e non passiva, epigonica, idolatrica. Un rapporto così libero con il proprio bagaglio di letture formative si colloca agli antipodi di un rapporto filologicamente rispettoso ma, al tempo stesso, può portare a una comprensione più profonda dello “spirito” dei testi.




Proust ricrea, proprio grazie a una memoria défaillante, un “testo immaginario” (p. 31) che tuttavia, paradossalmente, non si discosta dallo spirito del testo di Balzac. È proprio grazie a questo genere di manipolazioni e di distorsioni che il rapporto con i modelli diventa vivo e fecondo. 


Sarà interessante citare con maggior precisione l’episodio cui abbiamo appena fatto riferimento: si tratta della lunga analisi del finale di Illusioni perdute che si legge nel Contre Sainte-Beuve, un testo che serve a Proust per regolare i conti con i suoi principali modelli (in particolare Balzac e Flaubert): “In quest’ultima scena […] ogni parola, ogni gesto […] ha dei sottintesi di cui Balzac non avverte il lettore e che sono straordinariamente profondi. Essi dipendono da una psicologia così speciale e non mai tentata da nessuno, fuorché da Balzac, che indicarli è alquanto delicato. Ma tutto – dal modo come Vautrin ferma sulla strada Lucien, che non conosce e di cui solo l’aspetto fisico può averlo interessato, sino ai gesti involontari con i quali gli piglia il braccio ecc. – non rivela forse il senso molto speciale e molto preciso delle teorie di dominazione, di alleanza a due, ecc. con le quali il falso canonico colorisce agli occhi di Lucien, e forse ai propri, un pensiero inconfessato?”.


Bertini osserva, a questo proposito, come già all’altezza del Contre Sainte-Beuve la lettura proustiana di Balzac, grazie all’emergere dell’ambiguo protagonismo di Vautrin, sia quanto mai originale e matura: “Gesti rivelatori, pensieri inconfessati, sofferenze e desideri poco comprensibili agli occhi dell’osservatore ‘normale’, ma non per questo meno autentici e profondi: nei limiti imposti dalle convenzioni dell’epoca, l’omosessualità di Vautrin è descritta da Balzac con una perspicacia e una sensibilità che suscitano in Proust una stupefatta ammirazione”. Sia la figura di Charlus, sia quella di Gurcy/Guercy (primo embrione del personaggio, nel Contre Sainte-Beuve) nascono “sotto il segno di Vautrin”, dal quale ereditano “il bisogno di tiranneggiare i loro protetti, la gestualità insinuante e materna con cui li circuiscono, l’alternanza di cinismo brutale preso a prestito dai bassifondi e di dotta eloquenza degna di un principe della Chiesa” (p. 63). 




E non è un caso che nella Recherche l’elogio (anzi: la strenua apologia) di Balzac (dell’uomo e dello scrittore) venga affidato proprio al personaggio di Charlus. Nella Recherche la querelle fra ammiratori e detrattori di Balzac occupa un posto di rilievo e riveste una certa importanza nella costruzione della psicologia di alcuni personaggi. Bertini insiste molto sull’efficacia di questa trovata (la mise en abyme dei libri di Balzac tra i livres de chevet dei personaggi proustiani) e sottolinea la distanza che separa, anche rispetto a questo tema, la Recherche dai suoi antecedenti; nel Jean Santeuil, (un romanzo giovanile incompiuto, in terza persona, così simile e al tempo stesso così diverso dalla Recherche) il giovane Proust affida all’enigmatico personaggio dello scrittore C. (evidente portavoce dell’autore) un giudizio su Balzac che, se da un lato è molto personale, dall’altro dà conto di una polemica ancora accesa su uno scrittore amato e detestato da un pubblico vasto e trasversale: “[Balzac] è una potenza, […], ma una potenza un po’ materiale: piace a tanti e non piacerà mai altrettanto agli artisti. Ma sapete che gli vogliono bene comunque. […] Perché, in fondo, non ci coinvolge con l’arte. È un piacere mai del tutto puro. Cerca di afferrarci con un mucchio di brutte cose, proprio come la vita, e le rassomiglia”. Nella Recherche, invece, Proust ricorre a una soluzione tanto semplice quanto geniale: Balzac, diventa un classico che unisce e divide alcuni dei personaggi principali del romanzo; semplificando molto, abbiamo, da un lato, gli hater (Mme de Villeparisis in testa) e dall’altro gli idolatri acritici (soprattutto il Duca di Guermantes).




Ma nessuno sembra capire appieno “la verità secondo Balzac”; nessuno tranne, guarda caso, il barone di Charlus, che in Balzac apprezza tante cose, ma in modo particolare la capacità di cogliere e svelare i segreti che si nascondono nell’intimo dei personaggi – Vautrin, Paquita Valdés e la marchesa di San Real (nella Ragazza dagli occhi d’oro), la principessa di Cadignan –, così come dietro la facciata della Storia ufficiale, nelle coulisses della politica e della diplomazia. In un episodio particolarmente comico di Sodoma e Gomorra II, il barone metterà a tacere la petulanza dell’erudito Brichot (reo di aver equiparato Splendori e miserie delle cortigiane a Rocambole) con una battuta secca e definitiva: “Dite questo perché non conoscete la vita”. E così è Balzac: poetico e prosaico insieme, spesso troppo “chimerico” rispetto alla realtà e nel contempo troppo “terra terra” rispetto all’alta letteratura; volgare e sublime insieme, “proprio come la vita” – ci svela Proust.


Nota di Lettura


Le citazioni da Proust sono tutte tratte dalle edizioni utilizzate da Bertini: Saggi, a cura di M. Bertini e M. Piazza, Milano, il Saggiatore, 2015; Jean Santeuil, trad. di S. Santorelli, con un saggio introduttivo di A. Caterini, Roma, Theoria, 2015; Alla ricerca del tempo perduto, ed. diretta da L. de Maria, annotata da A. Beretta Anguissola e D. Galateria, trad. di G. Raboni, Milano, Mondadori, 1983-93.








sanlorenzo

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TAGGED: Marcel Proust , Honoré de Balzac , Comédie Humaine , Papà Goriot , Illusioni perdute , Emozioni , Eventi , Memoria , Personaggi , Produzione , Relazioni , Segni / simboli , Società , Tradizione , Arti , Scritture

Swann da balia


 https://www.raiplaysound.it/playlist/lasolavitapienamentevissutamarcelproustelarecherche
 Pra che la sta scrivendo la comprende,🧷compositivo casuali 
Da De



Chi non è stato Swann, almeno una volta nella vita? Chi non ha raggiunto la dimensione perfetta di un amore che nasce, chi non ha attraversato le prove di un amore che cresce, le spine della gelosia e ha, infine, preso atto, con disincanto che ciò che sembrava indistruttibile ed imprescindibili in un vicino passato è già in realtà privo di senso ed è prossimo alla fine?

Tra le Grasse*


 Le spontanee tra le Grasse le libere tra le prigioni dei vasi - il fiore - pixel di Swann

lunedì 24 aprile 2023

Tuc tuc 🧷

 Uno strano mezzobusto dalla cintola in (a cena ogni sera l'egocentrica volitiva intensa,  triplice, a tavola carte in gioco, non i cibi) 🧷 cammino 


(le tende pesanti il cine-teatro italia del sabato pomeriggio, tirare dietro, sorridenti, il doppiopetto blunotte illuminante, il duplex sussurrante a lungo, i discorsi condivisi anche dopo, ..)

Ex visu amor

 Ex visu amor. L'amore nasce da ciò che si vede.🧷 pfiu'! 


Benjamin Franklin: «L'uomo innamorato è in sella a un cavallo selvaggio Altrettanto dicasi della donna innamorata. ☔ docimologia 

Laura Grimaldi vs Stout

 nessuna intenzione di ucciderla. Non volevo neanche farle del male. Volevo solo «conoscerla». Lo capite?

- Sí.

- E capite quanto è stato difficile, per me, lavorare in mezzo a «loro ?

Sí.


Voglio essere sicura che capiate. Avevo avuto dei negri, nella mia fabbrica: lavavano i pavimenti, lustravano le maniglie. Roba del genere. Vediamo se capite. Perché l'ho uccisa?

Perché stava per sposare un negro.

Annuí. Capite. Il mio Richard non era stato sufficiente, per lei, tanto che l'aveva cacciato di casa, con l'aiuto di sua madre, spingendolo al suicidio, e ora sposava un negro! Mi è venuto in mente in un modo strano. Quella ragazza parlava sempre di diritti civili, aveva in mente solo i diritti civili, e ora stava per sposare un negro. Anche lei si era guadagnata un diritto, un solo diritto: il diritto di morire. Perciò decisi di ucciderla. Pensate che potranno capirmi? 🧷

Certo. Soprattutto i negri. Potrebbe essere più difficile capire perché avete ucciso Peter Vaughn. Pensate che vi abbia riconosciuta, quando è venuto al C.D.C. mercoledí mattina?

Ha pensato di avermi riconosciuta, ma non ne era sicuro. Mi aveva vista un paio di volte, anni fa, quando ero andata a trovare Richard all'università. Erano compagni di facoltà, sapete? Mentre usciva, mi ha rivolto un paio di domande, e le mie risposte non l'hanno soddisfatto. Cosí mi sono messa d'accordo perché potessimo vederci quella sera.

- Per ucciderlo.

Si acciglio. Non credo.

Vi siete portata dietro la pistola

Si passò la lingua sulle labbra. Non ho nessuna intenzione di parlare

- E stasera ve la siete portata dietro di nuovo, per la signora Brooke. Era la stessa pistola?

- Certo. Era di mio marito. La portava sempre con sé, quando andava in banca a ritirare i soldi degli stipendi. Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare di Susan. Mi chiamava Maud, sapete? Ed io la chiamavo Susan. Ci davamo del tu. Anche il mio Richard le dava del tu, naturalmente. Mi aveva parlato molto di lei. Ho due fotografie di quella ragazza, erano di Richard. In una, è con lui. Non so se capite che cosa provavo. Non dico che le volevo bene perché il mio Richard le voleva bene, ma volevo esserle vicina

🧷

143 delirium tremens 

il *tappeto di Lorenzo

 Lorenzo Miglioli, 1995

Orazio Converso is with Lorenzo Miglioli at. Palazzo Montecitorio. ... Sep 9, 2022. Debordmento della rete sull'umano (cit.) 1995 · Alessandro Manca.

I media diffusi 23 April 23: di corsa dal 1963 al 2023 con la copertura a tappeto* del mondo √60[•]

Foglio A4


 chiusura, indicate anche con l'anglicismo lockdown,
nel novembre dell' anno scorso i cittadini cinesi che protestavano contro i rigori del nuovo rigidissimo lockdown * dal Governo sono rapidamente passati da segni chiari anche sia *Lucidi all' assenza completa di segno ma l' assenza completa disegno si è dimostrata più efficace dei segni e politicamente più incisiva essa l' osservazione nelle prime fasi della protesta gli studenti della Xingu si erano fotografati mostrando le equazioni di Friedman per alludere all' idea di un uomo libero ho liberato Friedman altri hanno utilizzato espressioni come buccia di Banana che alle stesse iniziali in cinese del nome di Xi Jinping o mousse di gamberi che suona simile alla parola cinese dimissioni queste sono state le scelte che hanno dovuto compiere questi studenti ma alla fine si è arrivati racconta una forma di protesta e consisteva semplicemente nel mostrare un foglio bianco ed abbiamo raccontato anche da  Radio Radicale un foglio bianco 🧷 formato A quattro un foglio bianco vuoto privo di simboli magari illuminato una torcia a ostentare l' assenza della parola ma non del pensiero dicono gli autori l' assenza di segni è stata infatti esibita per rivendicare il senso della protesta la forza del dissenso un foglio vuoto🖇️vuoto delle parole di proteste che la censura del regime impediva un foglio bianco come il colore del lutto nella cultura cinese un foglio bianco come un nuovo inizio l' inizio un nuovo l' ho da un un foglio pulito come a significare che il governo aveva fatto piazza pulita cancellato le speranze del ritorno a una vita normale un foglio bianco illuminato da una torcia a simboleggiare il fuoco divampato album chi un palazzo in cui i cui abitanti erano rinchiusi in casa per le restrizioni governative uno spazio apparentemente neutro ma tutt' altro che neutrale capace di travalicare i confini degli spazzini fisici ed estendersi ai social network cinesi dove un gran numero di persone ha contribuito a rilanciare la protesta pubblicando dei posti completamente bianchi nelle immagini non immagini e appunto quanto mai più provocatorie in uno scenario dominato dall'  azione interno codificata del quotidiano dai filtri dal foto ritocco insomma un umile foglio bianco e reinventato come prorompente oggetto concetto nell' era post mediale e poi 📎 l' articolo prosegue con considerazioni più tecniche che riguardino la semiotica in conclusione scrivono gli autori ricordano che la semiotica è una branca della politica la politica anche quell' attiva non si può che fondare sullo studio dei segni 
👀








ma di chiudere un' altra brevissima segnalazione ancora dalla meraviglia del possibile il numero quattro un colonie la fine dello spazio post sovietico di Carolina de Stefano è che qui parliamo di contemporaneità ma parliamo di contemporaneità con gli strumenti dello storico Carolina de Stefano docente di Storia e politica russa alla luce membro associato a Parigi unicità di Parigi autore di Storia del potere in Russia dagli Zar a Putin pubblicato due mila ventidue dice tra le altre cose Carolina de Stefano 
👀con l' invasione russa dell' Ucraina si è chiusa e quindi si identifica appunto una periodizzazione siamo davvero al diciamo nel nocciolo della 🖇️ degli storici si chiude una periodizzazione secondo Carolina de Stefano si chiude L'era post guerra fredda e con essa il trentennio in cui territori dell' ex Unione Sovietica facevano parte dello spazio post sovietico spazio posso viatico cioè l' idea di identità sto attuali identificare innanzitutto a partire da uno stesso passato comunista uno stesso universo culturale e valoriale ormai non esiste più per diverse ragioni la prima è che l' Ucraina la Georgia 

domenica 23 aprile 2023

La passa delle aguglie

 o erano sardine? 🧷
Localizzare i branchi di aguglie è abbastanza semplice, poiché muovendosi di poco sotto il pelo dell'acqua causano sulla superficie caratteristici ...





Le aguglie seguono di norma i branchi di sardine e acciughe novelle, anche se non disdegnano crostacei e molluschi di piccole dimensioni.

fiori #se

 Alla fine degli anni ’80 Pagliarani lavorò a un videodisco di poesia con una startup di ricerca universitaria tra Genova ed Arcavacata. Il progetto di un Laboratorio di poesia non era nuovo, anzi era una pratica matura che negli anni solo Plinio De Martiis (in audio) e la rivista «Videor» (in video) avevano seguito registrandone gli appuntamenti. Elio raccontava di aver pensato spesso di imitare un eccentrico concittadino tanto fantasioso quanto intraprendente che nell’arduo dopoguerra delle campagne s’era inventato una fantomatica Scuola Popolare Itinerante di Agricoltura per sbarcare il lunario. Ora che il laboratorio, ed Elio stesso, «sono diffusi come pioggia sulla terra, divisi come un’ultima ricchezza, sono radice ormai...», per dirla col Poeta, possiamo pensare agli aggettivi, popolare e itinerante, che sono stati la marca del suo lavoro didattico: e che può essere anche nostra, per continuare. Magari col digitale che ora è lanciato oltre l’ostacolo. Sperimentare era così naturale per Elio Pagliarani che non è facile però immaginare come si possa riprendere il pathos dei suoi incontri in una scena distratta e dispersa che per fare ascolto avrebbe tanto bisogno invece del suo esserci. Un insopportabile stato di distrazione insidia la poesia, ma non solo. Fuor di metafora, Elio Pagliarani teneva insieme e rilanciava, individuava, i nodi che ogni nuovo poeta proponeva al suo ascolto. Faceva rete suo malgrado, per così dire, e di ciò era pienamente consapevole: pensiamo alla grande antologia virtuale di testi che il suo magistero dell’ascolto pubblico ha messo insieme in questi anni. Ma questo è un passaggio troppo difficile da raccogliere anche per il possente digitale se non c’è più Pagliarani



#if.[Orazio Converso]

Critica e militanti

 insomma Paris scherza o non scherza o come direbbero altri oggi o ieri ci fa o c'è 😁

certo non è il Palazzeschiano in servizio permanente Carlo Bordini né al contrario un poeta che fa maniera di un esibito l' rinverginamento sentimentale uno per capirci del tipo di Damiani 
lo Statuto dei suoi versi è si direbbe invece indicibile ma è così è proprio così che in questi versi sopravvivono senza fissarsi in una forma e senza poter essere alzati come una bandiera
Critica e militanti:  
Avrei dovuto immaginarlo. Mercoledí mattina, mentre ero seduto al tavolo della colazione davanti a un piatto di frittelle e di uova strapaz- zate, con lo sguardo scorrevo le pagine del «Times», ma con gli orecchi aspettavo il ronzio dell' interfono. Avrei dovuto immaginarlo, vi dico. La storiella sulle idee che vengono mentre ci si lava i denti era stata semplicemente una scu- sa per arrivare a parlare dell'automazione. Non dico che Wolfe non abbia mai avuto idee mentre si lavava i denti, ma è sempre accaduto quando avevamo per le ma-

Dibbí, data LA SCUOLA

 https://www.radioradicale.it/scheda/657247/critica-e-militanti #geni-a-li

buongiorno da critica e militanti Claudio Giunta professore universitario di letteratura italiana dantista e anche notevole saggista capaci di raccontare aspetti molto diversi della società attualeautore tra l' altro di una storia letteraria per le superiori è in questi anni è andato spesso a presentarla nelle scuoleun giorno in un liceo di Milano dopo che il discorso era caduto sull' impegno degli intellettuali durante il fascismo una ragazza che ha fatto una domanda imbarazzantema se io volessi diventare una fascista intelligente e gli ha chiesto perché mai la scuola è lo Stato dovrebbero impedirmelonel silenzio che è seguito giunta ha cominciato a preparare dentro riserva risposta avrebbe detto che le società liberali si fondano proprio sull' idea che ognuno può provare a diventare ciò che vuole quindi anche una fascista intelligenteche però vista la storia scuole è stato dovevano avvertirla che la libertà che lei reclamava le sarebbe stata negata sotto una dittatura fascistae che se in Italia è permesso diventare fascisti non è però permesso riunirsi in un partito che così si definisca per timore che un tale partito ci riporti nella situazione negli anni Venti ma non ha fatto in tempo ad aprire bocca che un insegnante forse il presideesploso in quello che giunta ha chiamato ironicamente un flusso di coscienza e che ha trascritto così ma come è possibile fascista intelligente non c'è intelligenza del fascismo la violenza che avete studiato nel programma le leggi sugli ebrei la guerra ma queste provocazioni la vogliamo smettereecco da questo episodio prende avvio l' ottimo pamphlet che giunta pubblicato di recente con Rizzoli e che si intitola appunto ma se io volessi diventare una fascista intelligente sottotitolo l' educazione civica la scuola l' Italia con la domanda infatti un ottimo reagente per interrogarsi su ciò che può significare discutere davvero l' idea scuola specie di ideeche hanno che fare con lanostra forma politica di convivenzae anche per capire come il nostro modo di immaginare questa discussione siaun' attendibile sineddoche della cultura del nostro Paese la reazione del presidente Steve Monia di un costume diffuso per cui alla persuasione indiretta dice giunta all' esposizione insomma le idee alla cultura come confronto si sostituiscela predica se non addirittura l' intimazionea scuola ma si potrebbe dire anche nella letteratura e nella società se è vero che oggi al vecchio organismo politico si tende a sostituirmi uno moralistico ovvero l' impegno di chi crede già di sapere cosa è il benema cosa sta intendenza sensibilizzare osserva giunta rischia di sortire l' effetto contrario a quello desiderato creata un lato degli indifferenti o dei conformistidall' altro degli eretici per partito preso come forseè diventata magari solo per un certo periodo la ragazza della domanda imbarazzante tutto questo ha a che fare con quella materia indefinita fluttuante che l' educazione civica di cui giuntaripercorre le vicende in particolare a che fare con la mitizzazione della nostra Costituzione che invece dice giustamente l' autoreandrebbe trattata come un frutto storico dato che l' educazioneconsiste proprio nel mostrare come le cose nascano e la Costituzione tra loro dal compromesso di forte ed esigenze diverse e in parte diverse magari dalle nostre oggiun atteggiamento questo della mitizzazione che si associa uno speculare poi considerare l' oggi sempre miglioredi ieri e dei poveri ingenui quindi gli uomini del passato cioè non sapere più immedesimarsi in una realtà altra negli ultimi due annil' educazione civica è stata reintrodotta nelle scuole spiega giunta in una prospettiva per così dire predicatorio con direttiveche anche nel linguaggio mostrano un misto di velleitarismo e burocratese illustrato nel pamphlet in una esilarante analisi linguistica analisi linguistica cui se ne potrebbe aggiungere una sul altrettanto sconfortante il linguaggio dei corsi che afferma se quando nel mille novecentocinquantotto la materia fu istituita è affidata ai docenti di storia le brevi disposizioni avevano la discutibile ma anche Chiara perentorietà di chi aveva un' idea alta incerta di formazione umana nei provvedimenti del nuovo secolo preda prevale invece uno zelante scriverlo molto scriverti troppo una pretesaassurda che la materia sia Biffi in dagli asili e che copra tutti i temi anzi le tematiche di un' attualità che nessuno in realtà padroneggia dall' Unione Europea al contrasto alle mafie fino addirittura alle eccellenze agroalimentari per non scontentarealcun partito e nello stesso tempo a questo vasto programma si abbina uno statuto dell' educazione civicache la lascia senza un posto preciso che ne fa un insegnamento trasversale senza ore in più affidato quindi un po' tutti e deresponsabilizzante tutto questo avviene in una scuola ormai seppellita sotto il peso delle procedureburocratiche e in cui riassume giunta persone normali devono insegnare storia dagli non sarebbe dei dinosauri a Berlusconiletteratura da un vero a Calvino in una scuola ancora che corre col fiatone dietro un mondo che cambia troppo velocemente con programmi che nessuno ha l' autorevolezza di adattare i mutamenti e nessuno ha l' autorevolezza nemmenosi intende di preservare dai rumori che vengono da fuoriperché le sollecitazioni mediatiche la pressione esterna sulla scuolaè qualcosa di enorme caotico e bisogna prenderne atto e giunta rileva che sotto l' etichetta di educazione civica si nasconde appunto una surrettizia quanto zoppicante trasformazione dei programmi cosìper proporne un' altra un cambio aperto dei programmiuna Berta revisione fa qualche esempio che riguarda la sua materia ma non solo è però significativo che l' appendice al pamphlet sia un saggio recensione dedicato un libro degli anni cinquanta di Guido Calogeroscuola sotto inchiesta che mostra i pregi e limiti di un' impostazioneliberale nel processo educativo insomma non ci sono soluzioni facili e forse bisogna tornare indietro per riprendere il filo e la rincorsa il libro di Giunta diventa così alla fineuna riflessione di largo respiro sulle aporie di ogni processo educativo che vista la situazione di oggi si estremizza noe crediamo ce ne siano in particolare due buoi contraddizioni ineliminabili in qualunque insegnamento il cui peso viene attutito solo se si dichiarano apertamente se vengono sottoposte a una continua discussione la prima riguarda il fatto che l' insegnante si trova in una posizione di per sé falsato vento fingere di sapere quasi tutto falsa e particolarmente ingrata appuntoin tempi in cui non c'è più un paradigma culturale condiviso i suoi studenti ne sanno spesso molto più di lui sull' attualità la seconda contraddizione riguarda il fatto che la scuola per sua natura richiede in ogni discussione di arrivare poi a una conclusione Flaubert vedeva in questo un aspetto della Pittis nove parlano della scuola ma della vita in generaleritiene insomma ricapitalizzare subito le discussioni in verifica i risultati a pronta cassa laddove l' acquisizione di una cultura lo sappiamo che è in realtà un continuo sperimentare a tentoni senza sapere dove si andrà a parareClaudio Giunta ma se io volessi diventare una fascista intelligente l' educazione civica la scuola d' Italia editore Rizzo a risentirci 


🖇️Ling, ma se io volessi a scuola