sabato 31 dicembre 2011

L'autore come consumatore 92

dell’aggettivo “politico” all’aggettivo ‘estetico”. Spogliato di ogni qualità, ridotto a nudo significante, l’oggetto ha sì, e conserva, un significato, ma questo è politico, non estetico. Ed è Duchamp che allegoricamente glielo conferisce. Esteticamente è una non-opera di cui non si può fare un’opera. Che noi possiamo leggerlo cotne opera, è solo l’indice di un gusto che si è allontanato dall’intenzione dell’avanguardia. 

Chiediamoci quindi che ne è oggi dell’avanguardia, e che cosa continua a significare per noi, dopo i tanti e così profondi cambiamenti che hanno avuto luogo. Con l’avanguardia è cambiata la nostra idea di arte. Non sapremo più concepirla auraticamente. La consideriamo cosa storica, affidata al tempo, e quindi anche deperibile. Rispetto al linguaggio che ne parla in termini di museo immagìnarìo, che è poi un residuo di grandi teorìzzazioni e idealizzazionì del passato, suona oggi più vero perfino il linguaggio burocratico che ne parla in termini di beni culturali. Le opere non nascano in uno spazio autonomo, ma uno spazio autonomo debbono aprirselostrappandosi al contesto comunicativo. Quanto più esse hanno perseguito una poetica pura, e cioè operato una rottura con la lingua comune, tanto più sono state consapevoti della propria eternomia. Mallarmé ci ha lasciato i frammenti di una poetica, di un progetto di opera, e i frammenti non possono per princicio essere puri, esenti dalla macchia della contingenza (dell’eseronomia). E d’altra parte non dobbiamo dimenticare la poetica del realismo, che è poi quella più caratterizzante della modernità, se è vero che genere per eccellenza moderno è il romanzo. E la poetica del realismo, interessata al brutto, alla prosa, alla comunicazione, non sta accanto alla poetica della poesia pura. Essa esprime a sua volta l’esigenza — vorrei dire strutturale — dell’arte autonoma di superare se stessa. I due concetti dì autonomia e di eter000mia, ai quali Luciano Aoceschi ha dedicato un libro importante, non solo sorgono insieme, ma sono strettamente correlativi. Sarebbe infatti impensabile applicarli a un’opera classica. Essi sono affatto moderni. Nell’opera classica non c’è contraddizione tra arte e mondo, tra l’artista e la città. L’opera non patisce eteronomia. E non ha bisogno di affermarsi come autonoma. All’ Orlando furioso conisponde la città degli artisti e urbanisti rinascimentali. La stessa legge di equilibrio, misura, ordine informa il poema e la città. E non poteva sorgere una filosofia dell’arte, Altra cosa invece è il rapporto tra il poema moderno — di Baudelaire o di Eliot — con la metropoli capitalistica. Qui l’accordo è rotto. L’opera che si vuole autonoma incontra la sua eteronomia; e l’opera negatrice dell’autonomia non può non cadere sotto il suo concetto. Abbiamo Mallarmé e Zola. E tutte le poetiche moderne vivono di questa antinomia. Ora la scommessa dell’avanguardia è stata quella di abolirla, restituendo l’arte alla comunicazione, e aprendo una possibilità che — vedremo — il postmoderno, lavorando secondo un’altra prospettiva, farà propria.
Con l’avanguardia entriamo g nell’epoca di quella che Adorno avrebbe chiamato “industria cutturale”. E già iniziata la produzione della cultura di
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