venerdì 9 dicembre 2011

C. Lettori senza metodo

Questo formulario non incrementa ma impoverisce e paralizza l'esercizio della critica. E in certe categorie professionali di specialisti fa della lettura un atto preordinato, preconcepito, metodologicamente corretto, praticabile e replicabile senza rischi. Come sappiamo tutti e come hanno notato anche gli storici della lettura, il primo, uno dei primi lettori ”senza metodo" è stato non per caso Montaigne, l’inventore del saggio moderno, informale o personale. Prima di lui, nei Rinascimento, i lettori colti leggevano compilando o «quaderni di luoghi comuni» nei quali raccoglievano citazioni, osservazioni, passi letti. Si trattava di strumenti che sostituivano la mnemotecnica. 



Montaigne si rifiuta di copiare e compilare, e «non annota i libri che legge per trarne estratti e citazioni [..] nella redazione degli Essays non utilizza repertori di luoghi comuni, ma compone liberamente, senza attingere a ricordi di lettura senza interrompere la concatenazione dei pensieri con riferimenti libreschi» (Guglielmo Cavallo e Roger Chartier). 
Certo Montaigne non era un critico letterario. Ma i suoi saggi mostrano un uomo che riflette su di sé e sul genere umano leggendo e avendo letto. Come lettore non studioso di testi, rappresenta un momento ineliminabile dell’attività critica. Per essere un iperlettore, il critico deve restare semplice lettore, lettore senza difese, senza pinze, forbici e bisturi, lettore ricettivo che accetta i rischi della lettura, sospende l’incredulità e crede, almeno finché legge, a quello che legge. Il lettore di libri può tenere un diario di letture e può succedere che scriva come Henry  Miller un’autobiografia, i libri nella mie vite che, dice, «tratta di libri in quanto esperienza vitale»: e le sue conclusioni sono che «bisognerebbe leggere sempre di meno e non sempre di più» e che pur non avendo letto come uno studioso, senti  di aver letto o almeno cento volte di più di quanto avrei dovuto leggere per il mio bene». Ma l’essenziale per un tipo come Henry Miller era, sì, scrivere, ma soprattutto vivere. Credeva fermamente (e anch’io lo credo) che «gli illetterati, non sono certo i meno efficenti tra noi». Ma intelligenti, o come dice Miller, «rivoluzionari — e cioè ispirati e ispiratori» devono essere i libri. Perché un rischio della lettura, il rischio in realtà più frequente, è leggere quel tipo di libri che sarebbe stato meglio non leggere, o che sarebbe stato meglio che non fossero stati pubblicati e scritti. ll libro in sé non è un valore. Lo è solo se vale. E nel caso presente di sovrapproduzione libraria i peggiori nemici dei libri che vale leggere sono i troppi libri che li sommergono e da cui cerchiamo a fatica  di difenderci. 
 Uno dei critici più interessati ai vari rischi della lettura è stato George Steiner «Leggere bene» ha scritto «significa correre grossi rischi. Significa rendere vulnerabile la nostra identità. ll nostro autocontrollo [..] chi ha letto la Metamorfosi di Kafka e riesce a guardarsi allo specchio senza indietreggiare è forse capace, tecnicamente, di leggere i caratteri stampati, ma è analfabeta nell’unico senso che conti realmente». Per Steiner il “leggerebene” non è un fatto tecnico neppure nel senso dei metodi di analisi e interpretazione. È una qualità dell'esperienza. 

 Negli immediati dintorni, ma anche da un diverso punto di vista, nascono le polemiche di Susan Sontage di Enzensberger. Sontag, in Contro l’ interpretazione,difende la lettura come percezione intensificata contro la mania di interpretare scavando sotto la superficie di opere letterarie e artistiche. Enzemberger difende a oltranza, contro la lettura corretta e ideale, le letture reali anche se dilettose, parziali, utilitaristiche, edonistiche, sperimentali, in quanto a atti individuali irriducibilmente anarchici e idiosincratici. 



 Nella lettura i rischi sono dovunque. Avolte li corre il testo, a volte li corre il lettore. Altre volte anche l’autore: quando per esempio le sue poesie, come lamenta Enzensberger, vengono usate a scuola per tornentare gli studenti con l’obbligo dell’ interpretazione giusta, fino a nausearli per sempre di quella cosa incomprensibile e noiosa chiamata poesia, e di quegli individui da evitare che sono i poeti.