venerdì 9 dicembre 2011

Il salario dell'ideale


Scienza e professione sono le due facce di una stessa medaglia: da un lato il progresso della civiltà dipende dal fatto che ogni questione deve essere affrontata e diretta in modo scientifico, dall’altro la ricerca scientifica non è un fatto privato, ma è al servizio dell’intera umanità (non dello stato). Non per nulla l’esame di abilitazione alle professioni (che è una questione statale) è distinto dal titolo universitario, La cosiddetta “libertà accademica” si basa sul carattere universale del sapere scientifico. 
Tutto questo bel sistema, che implicava anche procedure di collegamento tra l’università e le scuole medie superiori, è eutrato in crisi nel Sessantotto. Si è cercato di restaurarlo uei primi anni Ottanta, per evitare che l’università continuasse ad essere una fiaciua di bngatisti e di neo-fascisti (come era avvenuto negli anni Settanta per l’insipienza della Democrazia Cristiana), ma a partire dal 1996 esso è stato smantellato via via dai vari governi fino a non lasciarue nemmeno le rovine. Perchè? La risposta è semplice: l’esistenza della borghesia non serve più al capitalismo, il quale oggi trova nella classe media un ostacolo all’espansione strani ponte del modello neo-libenistico. La classe media è troppo costosa. Il nostro governo non può permettersi il lusso di pagare quello che Jean-Claude Milner chiama “il salario dell’ideaTe”: la tradizionale coappartenenza tra capitalismo e borghesia è spezzata. Nell’Ottocento il benestante era un borghese che viveva di rendita; nel Novecento l’esplosione tecnologica ha fornito la base di un mutamento sociale che ha visto emergere la figura del borghese salariato (dirigente, ingegnere, profes sore ftinzionanio, giornalista); ma oggi il capitalismo non è più disposto a pagare uno stipendio “politico” largamente indipendente dal mercato. 


La destabilizzazione della borghesia e la sua proletarizzazione (negli stili di vita in maniera ancora più evidente che sotto l’aspetto economico) accadono in tutti i paesi occidentali. La distruzione dell’università presenta tuttavia in Italia due aspetti particolari. Il primo è il melting pot di tutti gli aspetti peggiori dell’università americana con quelli dell’università italiana. 
Il secondo è l’accanimento nell’impedire ogni mobilità sociale, riducendo i giovani in una condizione non molto dissimile da quella dei “servi della gleba” medioevali, che per nascita erano legati alla terra coltivata dai loro genitori: chi, infatti, può permettersi di mandare al diavolo il capitale sociale e produttivo della sua famiglia, quando questo esiste? L’eliminazione e il depauperamento delle strutture universitarie (per esempio, 
cattedre che possono trasmettere una rete di relazioni internazionali e un bagaglio molto raffinato di conoscenze, biblioteche, laboratori, collegi, mense, servizi vari ecc...) hanno uno scopo ben preciso, quello di im pedir allo studente di entrare nel mercato globale del lavoro con qualche possibilità di successo. Azzerando ogni possibilità di ascesa socio-economica, (anche attraverso la svalorizzaziooe dei titoli di studio e la demotivazione dei docenti), il familismo amorale non trova più ostacoli nell’assegnare uffici, impieghi e inca rich ai piò incompetenti, ignoranti e corrotti. Anche qui Berlusconi (accidenti, non riesco mai a ricordare 
20/21