sabato 31 dicembre 2011

L'autore come consumatore 91

produzione artistica con le altre forme della cultura, e nello stesso tempo difendendola dal gusto dominante. Ed è qui il loro valore storico, al pari delle poetiche, e non solo idealistico e ideologico. Al contrario l’avanguardia è teatrale, speltacolare, performativa, in azione. Agisce attivamente, e non solo richiede una risposta — di indìgnazione o di partecipazione — ma la forza.
Naturalmente la distinzione — o l’opposizione — si afferma in linea di principio. Nel fatto modernismo e avanguardia si incontrano e contaminano. Ma si potrebbe dire schematicamente che il modernismo lavora sul significante. Esso si concentra sul momento della produzione o della ricerca formale. E mette fuori gioco il significato. Paul Klee scriveva che lavorando cercava rapporti tra i materiali usati, e solo quando in questo lavoro puramente formale si costituiva un’immagine non prevista, sorgeva il problema se accoglierla o no. L’immagine - o il signifidato era un di più di un'offerta del caso o dell'inconscio da prendere o meno in considerazione. Al contrario l’avanguardia rovescia le aspettative del gusto, insolentisce il pubblico, e si concentra sul momento della ricezione. Comprendiamo così i suoi procedimenri: come ridurre tutto Shakespeare a un atto unico, eseguire Beethoven alla rovescia, apporre una firma d’artista a un orinale, e via dicendo. Essa si realizza nei modi di un evento, di un’azione assolutamente sincronica, che coincide con il presente del suo accadere. Si compie come esperienza, ed esprime un significato politico. Dobbiamo quindi prendere alla lettera il programma dell’avanguardia di demolire l’arte e la sua tradizione.

O dobbiamo prenderlo metaforicamente e non metaforicamente insieme. Non si tratta della proposta di nuove poetiche, di nuovi modi di fare arte. Sìamo noi che ne abbiamo fatto una nuova arte, o una nuova poetica, e l’abbiamo racchiusa nel recinto delle esperienze estetiche, Il che può riuscire anche troppo bene, ma non senza compiere un salto mortale. E un salto mortale compie per esempio un critico dell’intelligenza di Argan quando si trova davanti al ready-mode dadaista.

Come lo legge Argan? Gìustamente egli osserva che Duchamp strappa l’oggetto dal suo contesto pratico e — citiamo —“lo disambienta, lo svia, lo porta su un binario morto”: lo espone in una galleria d’arte. Con l’imposizione della firma non la propria, una qualunque: Mutt — Duchamp conferirebbe esistenza estetica all’oggetto: “Stralciandolo da un contesto in cui tutto essendo utilitario nulla può essere estetico, lo situa in una dimensione in cui nulla essendo utilitario tutto può essere estetico”. Conclude Argan che per i dadaisti l’ambiente non ha in sé alcuna qualità estetica, ma ciascuno può interpretare ed esperìre esteticamente le cose che lo compongono sviandolo dalla finalità utilitaria che dà loro una società utilitaria”. Ma l’orinatoio —o la “merda d’artista” di Piero Manzoni che lo cita — è solo l’oggetto che è, non ha nulla di estetico e tanto meno di artistico, anche conservato in un museo. E d’ altra parte è ancora Argan a scrivere con grande acutezza: ‘Ciò che determina il valore estetico, dunque, non è più un procedimento tecnico, un lavoro, ma un puro atto mentale, una diversa attitudine verso la realtà”. Dove tutto è condivisibile ma con una sostituzione: quella
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