IV
Strana fu la notte in cui tanti soffi si smarrirono al crocicchio delle stanze...
E chi dunque avanti l’alba erra agli orli del mondo con codesto grido per me? Quale giovane ripudiata al sibilo dell’ala se n’andò a trovare altre soglie, quale giovane maleamata,
Nell’ora in cui le labili costellazioni che mutano di vocabolo per gli uomini d’esilio declinano nelle sabbie in cerca d’un luogo puro?
Dappertutto errante fu il suo nome di cortigiana presso i preti, alle grotte verdi delle Sìbille, e il mattino sulla nostra soglia seppe toglier tracce di piedi nudi, fra sante scritture...
Schiave, servivate, e vane, tendevate le tele fresche per il cadere d’un detto puro.
Su lamenti di piviere se n’andò l’alba lamentosa, se n’andò l’ìade piovosa in cerca del detto puro,
E su rive antichissime fu chiamato il mio nome... Lo spirito del dio fumava fra ceneri d’incesto.
E quando assorbita fu fra le sabbie la sostanza pallida di quel dì,
Bei frammenti di storie alla deriva, su pale d’eliche, nel cielo pieno d’errori e d’erranti premesse, presero a virare per la delizia dello scoliaste.
E chi dunqùe era là e se n’andò sulla sua ala? E chi dunque, stanotte, sul mio labbro di straniero ha preso ancora mio malgrado l’uso di questo canto?
Rovescia, scriba, sulla tavola dei lidi, col rovescio del tuo sfllo, la cera impressa del detto vano.
Strana fu la notte in cui tanti soffi si smarrirono al crocicchio delle stanze...
E chi dunque avanti l’alba erra agli orli del mondo con codesto grido per me? Quale giovane ripudiata al sibilo dell’ala se n’andò a trovare altre soglie, quale giovane maleamata,
Nell’ora in cui le labili costellazioni che mutano di vocabolo per gli uomini d’esilio declinano nelle sabbie in cerca d’un luogo puro?
Dappertutto errante fu il suo nome di cortigiana presso i preti, alle grotte verdi delle Sìbille, e il mattino sulla nostra soglia seppe toglier tracce di piedi nudi, fra sante scritture...
Schiave, servivate, e vane, tendevate le tele fresche per il cadere d’un detto puro.
Su lamenti di piviere se n’andò l’alba lamentosa, se n’andò l’ìade piovosa in cerca del detto puro,
E su rive antichissime fu chiamato il mio nome... Lo spirito del dio fumava fra ceneri d’incesto.
E quando assorbita fu fra le sabbie la sostanza pallida di quel dì,
Bei frammenti di storie alla deriva, su pale d’eliche, nel cielo pieno d’errori e d’erranti premesse, presero a virare per la delizia dello scoliaste.
E chi dunqùe era là e se n’andò sulla sua ala? E chi dunque, stanotte, sul mio labbro di straniero ha preso ancora mio malgrado l’uso di questo canto?
Rovescia, scriba, sulla tavola dei lidi, col rovescio del tuo sfllo, la cera impressa del detto vano.
223 Exil
Le acque del largo laveranno, le acque del largo sulle tavole, le più belle cifre dell’anno.
Ed è l’ora, o Mendfca, in cui sul volto chiuso dei grandi specchi di pietra esposti negli antri
L’officiante calzato di feltro e in guanti di seta greggia cancella a furia di maniche l’affiorare dei segni illeciti della notte.
Cosi va ogni carne al cilicio del sale, il frutto di cenere delle nostre veglie, la rosa nana delle vostre sabbie, e la sposa notturna prima dell’alba ricondotta...
Ah! ogni cosa vana nel ventilabro della memoria, ah! ogni cosa insana ai pifferi dell’esilio: il puro nautilo delle acque libere, il puro mobile dei nostri sogni.
E i poemi della notte prima dell’alba ripudiati, l’ala fossile presa in trappola dai vasti vespri d’ambra gialla...
Ah! bruciare, bruciare in cima alle sabbie, tutto questo tritume di piuma, d’unghia, di capelli pinti e di panni impuri,
E i versi nati ieri, ah! i versi nati una sera alla forca del lampo, sono come la cenere nel latte di donna, tracce infime...
E d’ogni cosa alata cui non siete usi, componendomi un puro linguaggio senza scopo,
Ecco ch’io progetto ancora un gran poema delebile...
V
« Come chi si sveste in vista del mare, come chi s’è alzato per onorare la prima brezza da terra (ed, ecco, la sua fronte s’è ingrandita sotto il casco),
Ed è l’ora, o Mendfca, in cui sul volto chiuso dei grandi specchi di pietra esposti negli antri
L’officiante calzato di feltro e in guanti di seta greggia cancella a furia di maniche l’affiorare dei segni illeciti della notte.
Cosi va ogni carne al cilicio del sale, il frutto di cenere delle nostre veglie, la rosa nana delle vostre sabbie, e la sposa notturna prima dell’alba ricondotta...
Ah! ogni cosa vana nel ventilabro della memoria, ah! ogni cosa insana ai pifferi dell’esilio: il puro nautilo delle acque libere, il puro mobile dei nostri sogni.
E i poemi della notte prima dell’alba ripudiati, l’ala fossile presa in trappola dai vasti vespri d’ambra gialla...
Ah! bruciare, bruciare in cima alle sabbie, tutto questo tritume di piuma, d’unghia, di capelli pinti e di panni impuri,
E i versi nati ieri, ah! i versi nati una sera alla forca del lampo, sono come la cenere nel latte di donna, tracce infime...
E d’ogni cosa alata cui non siete usi, componendomi un puro linguaggio senza scopo,
Ecco ch’io progetto ancora un gran poema delebile...
V
« Come chi si sveste in vista del mare, come chi s’è alzato per onorare la prima brezza da terra (ed, ecco, la sua fronte s’è ingrandita sotto il casco),
225 Exil