Le tradizionali lauree specialistiche in ambito umanistico hanno sempre combinato formazione metodologica e formazione ermeneutica: generazioni di Dottori di ricerca di Oxford hanno dovuto imparare tanto come i libri erano stampati quanto che cosa vi era stampato. E il prodotto finale di un dottorato è tradizionalmente un ennesimo libro che si aggiunge agli altri, pronto per essere interpretato dalle generazioni a venire.
Gianfranco Contini, importantissimo filologo, studiando i manoscritti autografi degli stessi Simbolisti francesi (in particolare, Mallarmé, ma non solo), ha inventato la “critica delle varianti”, ovvero una epistemologia, una concessione alla conoscenza in fieri, di cui il testo finale stampato rappresenta solo una tappa. Segre, sulla stessa linea, ha parlato di testo come “concetto limite”. Fondendo la critica delle varianti (nata per il testo cartaceo, ma applicabile alla scrittura al computer) come cornice epistemologica, la psicologia della composizione in quanto cornice psicologico-pedagogica dello studio della scrittura, e l’informatica come possibilità concreta di non raggiungere una stabilità del testo, Fiormonte (D. Fiormonte, Scrittura e filologia nell’era digitale, Torino, Bollati Boringhieri, 2003) ha provato a descrivere ed analizzare le forme di scrittura digitale. La scrittura si rivela, infatti, in tutta la sua dimensione processuale anche – e più che altrove – nella dimensione informatica.
La tendenza generale della comunicazione moderna, che si tratti della stampa giornalistica o della pubblicità o delle arti vere e proprie, è volta verso la partecipazione a un processo piuttosto che verso la formulazione di concetti. E questa profonda trasformazione, intimamente connessa alla tecnologia, produce effetti che non hanno ancora cominciato ad essere studiati sebbene abbiano cominciato ad essere avvertiti.
Da qui l’idea di fondare un centro studi delle scienze della comunicazione.