L’arte è l’unica forma oggettiva di conoscenza. La scrittura saggistica,
filosofica, esplicativa è in balia dell’ideologia e della soggettività
più sfrenate. Quanto più cerco di dare una forma oggettiva a ciò che
penso, alle mie idee, alle mie sensazioni, tanto più ne divento preda e
mi allontana da quella che è la voce altrui: allora la mia voce cancella
tutte le altre, e quella che sembrava la verità diventa immediatamente
menzogna. Il Diario di Gombrowicz trabocca di annotazioni
intelligenti e acute, ma sempre come irrigidite dalla necessità di
esprimere l’io di Witold Gombrowicz. E alla fine che valore possono
avere per un artista le idee? I romanzi non si fanno con le idee, e
forse nemmeno con l’intelligenza. La realtà non è raccontabile, se non a
patto di farla parlare torcendole il collo. Tutti i tentativi di
descriverla sono dei fallimenti, perché il loro fine ultimo è la
registrazione, una cattiva magia dove della realtà resta solo la scorza.
Gombrowicz ci ha insegnato che il romanzo deve scendere sul terreno
dell’immaginazione, e l’”oggettività” si può trovare solo volgendo le
spalle all’io sveglio, apparente, solido.