martedì 24 maggio 2011

La ragazza del negozio

Per un momento si è posata su di me, 
Come una rondine sbattuta dal vento contro il muro,
E parlano delle donne di Swinburne,
Della pastorella incontrata da Guido,
Delle baldracche di Baudelaire.
Divertente e impietosa nella sua sincerità, ma anche verosimiimente realistica è l’immagine di Ezra Pound che si ricava dalle pagine autobiografiche di William Carlos Williams, suo coetaneo, l’altro polo della poesia americana di questo secolo: «Non ho mai potuto frequentarlo regolarmente. Mai. Era spesso brillante, ma un rompiscatole. Però non mi sono mai (finché lo tenevo a distanza) stancato di lui, nè a dire il vero ho mai smesso di volergli bene. Non si poteva non volergli bene. Quello che non ho mai sopportato in Pound era l’atteggiarsi a grande poeta. Per me erano buffonate belle e buone». Inoltre, Williams mette in luce il tratto inconfondibile e forse decisivo del carattere di Pound, e cioè la falsificazione involontaria per amore di grandezza, l’infatuazione narcisistica, l’infantile e innocente truffa artistica: «Non era mai riuscito a imparare a suonare il pianoforte. Ma, malgrado questo, “suonava”. Ricordo, a casa mia, lo stupore di mia madre quando si sedette al piano e, facendo sul serio, diede sfoggio del suo “virtuosismo”. Tutto, si potrebbe dire, ne risultò, tranne che musica. D’un sol colpo affrontò le massime vette: suonò Liszt, Chopin su e giù per la tastiera, in maniera coerente secondo lui, senza rispettare alcun ordine. Faceva parte delta sua fiducia in sé. Mia cognata era una pianista concertista. Ezra non ebbe mai simpatia per lei».
Proprio come il bambino che non sa suonare, ma si siede al piano e imita un pianista, o come l’attore che non sa recitare, ma fa finta di recitare con enorme determinazione volitiva, così Pound fece magnificamente finta per tutta la vita dì essere un vero, 
grande e intransigente poeta. 
Anche da questi pochi versi, divisi in due brevi strofe, emerge in tutta evidenza la «mentalità poetica» di Pound. Prima l’im
magine fresca e diretta di un incontro casuale con una ragazza sconosciuta viene sollevata in un cielo tempestoso, in cui fragili rondini sono trascinate dalla violenza del vento: e poi questa stessa immagine è guastata dall’imbarazzante candore con cui Pound, l’eterno aspirante poeta, si specchia spavaldamente nella vita degli idoli letterari di cui vorrebbe sempre un po’ prendere il posto (Swinburne, Cavalcanti, Baudelaie).

E' questa ingombrante fissazione da letterato che in Pound soffoca la poesia e in un certo senso la sostituisce. Più che poeta, Pound è un mitomane della cultura poetica. Il suo sogno più divorante è il sogno della poesia, il sogno in cui egli stesso compare come protagonista, esuberante discepolo destinato a superare i vecchi maestri.

Perfino la sua fede nel fascismo fu solo un aspetto contingente e occasionale della sua mania estetica; restaunizione a pieni polmoni dei veri valori dell’Occidente europeo e di ogni socielà preindustriale. Generoso bandìtore di una nuova religione poetica; ma anche, soprattutto nei Cantos, disordinato ed ebbro millantatore che per fare impressione a se stesso e agli altri riempie i suoi testi di citazioni dai classici italiani, greci, cinesi, provenzali, in una caotica mescolanza di ardore e mistificazione, ...