mercoledì 10 ottobre 2012

Undici milioni di baionette

Me ne uscii tentando di dare un senso a quelle scelte (la comunicazione) e un alibi alla mia (fingere un'insegnamento). Mi occupai di callcenter e di commerci in rete.
La Montea, omen nomen, sopra Belvedere vegliava su di noi, ma ci lasciammo le penne lo stesso.  In primis i ragazzi, io a ruota. Eppure non c'era altro da fare: uscirne ma uscirne alla grande, tentando l'impossibile, prendendo il toro per le corna. Olè.
 Premetto che io penso alla scuola come Franco Basaglia pensava alle istituzioni manicomiali, per chiuderli aprendo al territorio, posso confrontare con la mia esperienza personale due altri decenni -  a distanza trentennale (Anni 70 / AnniZero):
  • I processi di inclusione degli anni sessanta con la Scuola Media Unica e infine con l'accesso libero alle Scuole Medie Superiori e all'Università
  • La riforma dei corsi universitari con l'introduzione della Laurea Triennale e Specialistica
  E vengo subito al punto. La riforma io la vedo a suo tempo dall'ottica dei Corsi di Laurea in  Comunicazione di Arcavacata nei quali la ragione sociale è quella dei linguaggi visti da ogni possibile angolazione con una forte istanza alla rIdEfinizione operativa degli ambiti disciplinari in sede dipartimentale - ed è qui che avviene il disastro, quando i docenti/ricercatori recalcitranti boicottano ben presto la riforma ed il lavoro di ricerca dipartimentale sulla definizione degli ambiti didattici e disciplinari e, d'altro canto, tollerano lo stato delle cose soltanto in vista della creazione di nuove cattedre d'insegnamento.
  Le iscrizioni proliferano infatti sull'equivoco dell'accesso alla professione giornalistica basata su una buona formazione di tipo liceale.
  Il mio gruppo di lavoro accetta la sfida delle nuove tecnologie della comunicazione contando sulla forza del digitale e della rete per risolvere le resistenze, ed io accetto anche di misurarmi nella funzione docente per piegarla alle nuove logiche della comunicazione digitale.
  Una storia decennale che racconto anche in un libro che non vedrà mai l'inchiostro di un libro.

Adesso, alla prova del lavoro, qualche milione di disoccupati e, of course, la Colpa è della scelta di studiare Comunicazione, magari ad Arcavacata in ambito umanistico. 
Non è vero, la scelta era giusta e direi sacrosanta, la sceltà linguistica sopra tutte, quella della formazione generale (di cui quella generazione era totalmente sprovvista), quella dei due tempi, del  tre+due, l'agorà ideale tradotta in un campus amicale.
Non sarebbe stato giusto neanche mettersi in competizione con i comunicatori di scienze economiche, o con i tecnici delle information and communications technologies di ingegneria o matematica: si doveva, e lo si è tentato, ridefinire gli ambiti disciplinari, a partire dalla didattica e dai lavori di ricerca in ambiti dipartimentali.

Al progetto non è mancata una guida appassionata e valente, dei bravi docenti, una massa critica di studenti efficace con un 30-40% eccellente e motivato, il momento storico favorevole (il boom delle economie della comunicazione), no, non sono bastati. Ci chiediamo perchè?