Spesso a turbare i cuori degli uomini e delle donne, ma anche a placare le loro pene, val più l'esempio delle parole. E poiché io pure ho conosciuto consolazione dalla conversazione con uno che fu testimone dei miei patimenti, intendo adesso scrivere qui delle sofferenze nate dalle mie disgrazie e destinare il mio scritto agli occhi di uno che, seppur lontano, è pur sempre un consolatore. Sì che, confrontandoi vostri co' miei dolori, voi possiate scoprire che le vostre pene nulla, o al massimo di picciol conto, sono. e quindi più facilmente possiate sofferirle.
PIETRO ABELARDO.
Historia calamitatum.
Sul trolley ovarico.
Una volta mollata l'anima, tutto segue con assoluta certezza,anche nel pieno del caos. Dal principio non fu mai altro che caos: un fluido che mi avviluppava, e io vi respiravo per branchie.Nei substrati, dove la luna brillava ferma e opaca, era liscio e fecondo; sopra era frastuono e discordanza. In tutte le cose io vedevo subito l'opposto, la contraddizione, e fra il reale e l'irreale l'ironia, il paradosso. Ero io il mio peggior nemico.Nulla c'era che volessi fare e potessi anche non fare. Anche bambino, quando nulla mi mancava, io volevo morire; volevo arrendermi perché non vedevo senso nella lotta. Sentivo che nulla si sarebbe provato, sostanziato, aggiunto o sottratto continuando un'esistenza che io non avevo chiesto. Tutti attorno a me eran dei falliti, e se non falliti ridicoli. Specialmente chi avesse avuto successo. Questi poi mi annoiavano fino alle lacrime. Ero comprensivo per chi sbagliava, ma non era la compassione a muovermi. Era una virtù meramente negativa,una debolezza che fioriva alla sola vista della miseria umana.Non ho mai aiutato nessuno aspettandomi che ciò gli facesse del bene; Io aiutavo perché non ero capace di fare altrimenti.Voler cambiare la condizione delle cose a me pareva futile; nulla sarebbe cambiato - ne ero convinto - se non per un mutamento del cuore, e chi può cambiare il cuore degli uomini? Di tanto in tanto un amico si convertiva; roba da vomitare.Non avevo bisogno di Dio, più di quanto Egli avesse bisognodi me, e se un Dio ci fosse, dicevo spesso fra me, andrei a trovarlocalmo calmo e Gli sputerei in faccia.Più seccante il fatto che a prima vista la gente mi prendeva per buono, gentile, generoso, leale, fedele. Forse io possedevo queste virtù, ma soltanto perché ero indifferente: potevo permettermi d'essere buono, gentile, generoso, leale e così via, perché ero libero da invidia. L'invidia era l'unica cosa di cui io non fossi vittima. Non ho mai invidiato nulla e nessuno.Al contrario, ho solo sentito pietà per tutti e per tutto.Fin dal principio devo essermi addestrato a non desiderare troppo cosa alcuna. Fin dal principio sono stato indipendente,ma a modo storto. Non avevo bisogno di nessuno perché volevo essere libero, libero di fare e di dare solo come dettava il mio capriccio. E quando poi si voleva o ci si aspettava qualcosa da me, allora io recalcitravo e dicevo di no. Questa la forma che prendeva la mia indipendenza. Ero guasto, in altre parole,guasto in partenza. è come se mia madre m'avesse nutrito di veleno, e anche se mi svezzarono presto, il veleno non uscì mai dal mio organismo. Anche quando mia madre mi tolse la mammella, pare che io sia rimasto del tutto indifferente; quasi tutti i bambini si ribellano, o fan finta di ribellarsi, ma a me non importò un accidente. Ero filosofo sin dalle fasce. Ero contro la vita, per principio. Ma che principio? Il principio della futilità. Tutti attorno a me lottavano. Io invece non feci mai alcuno sforzo.