cultura tradizionale rimase completamente sorda; e gli
scienziati puri, quelli che c’erano, non ascoltarono con
troppa attenzione. La storia, che continua idealmente fino
ai nostri giorni, e raccontata nel libro di Eric Ashby, Tech-
nology and the Academics.
Gli accademici non hanno nulla a che fare con la rivo-
luzione industriale; come Corrie, il vecchio Master del
Jesus College, diceva dei treni che arrivavano a Cambridge
il sabato: "E' egualmente spiacevole per Dio e per me".
Quel poco di attività mentale che vi fu, se ve ne fu alcuna, nell’industria del XIX secolo, fu affidata alle manovelle e ai lavoratori intelligenti. Storici americani della società mi hanno detto che la stessa cosa si verificò anche negli Stati Uniti. La rivoluzione industriale, che cominciò a svilupparsi nella Nuova Inghilterra all’incirca cinquant’anni piu tardi che da noi, a quanto pare albergò in sé ben pochi talenti dotati di una certa cultura, sia allora sia in seguito nel corso del XIX secolo. Essa dovette arrangiarsi con la guida che uomini tuttofare potevano offrirle - e, naturalmente, a volte con tipi come Henry Ford, dotati di un briciolo di genialità.
La cosa curiosa era che in Germania, negli anni 1830 e
1840, molto prima che cominciasse una seria industrializ-
zazione, era possibile avere una buona educazione univer-
sitaria in scienze applicate, migliore di quanto Inghilterra o
Stati Uniti poterono offrire per un paio di generazioni.
Non che io cominci a capire questo fatto: esso non ha
nessun significato sociale: ma fu cosi. Col risultato che
Ludwig Mond, il figlio di un fornitore di corte, andò a
Heidelberg ad impararvi un po’ di buona chimica applica-
ta. Siemens, un ufficiale prussiano addetto alle segnalazio-
ni, fece all’accademia militare e all’università quelli che, ai
suoi tempi, erano eccellenti corsi di elettrotecnica. Poi
vennero in Inghilterra, non trovarono la minima concor-
renza, vi portarono con sé altri tedeschi istruiti, e fecero