domenica 6 novembre 2011

Duineser Elegien





… Certo è strano non abitare più sulla terra,

non più seguir costumi appena appresi,

alle rose e alle altre cose che hanno in sé una promessa

non dar significanza di futuro umano;

quel che eravamo in mani tanto, tanto ansiose

non esserlo più, e infine il proprio nome

abbandonarlo, come un balocco rotto.

Strano non desiderare quel che desideravi. Strano

quel che era collegato da rapporto

vederlo fluttuare, sciolto nello spazio. Ed è faticoso

esser morti;

quanto da riprendere per rintracciare a poco a poco

un pò d'eternità. - Ma i vivi errano, tutti,

chè troppo netto distinguono.

Si dice che gli Angeli, spesso, non sanno

se vanno tra i vivi o tra i morti. L'eterna corrente

sempre trascina con sè per i due regni ogni età,

e in entrambi la voce più forte è la sua…


… Non crediate che il Destino sia poi tanto di più di quel

condensato

che è l'infanzia; quante volte sorpassaste l'amato

compagno ansimando,

ansimando per una corsa beata verso il nulla, verso

l'Aperto…


La creatura, qualsiano gli occhi suoi, vede

l'aperto. Soltanto gli occhi nostri son

come rigirati, posti tutt'intorno ad essa,

trappole ad accerchiare la sua libera uscita.

Quello che c'e di fuori, lo sappiamo soltanto

dal viso animale; perche noi, un tenero bambino

già lo si volge, lo si costringe a riguardare indietro e

vedere

figurazioni soltanto e non l'aperto ch'è sì profondo

nel volto delle bestie. Libero da morte…


… Questa la vediamo noi soli; il libero animale

ha sempre il suo tramonto dietro a sé.

E dinanzi ha Iddio; e quando va, va

in eterno come vanno le fonti.

Noi non abbiamo mai dinanzi a noi, neanche per un

giorno,

lo spazio puro dove sbocciano

i fiori a non finire. Sempre c'e mondo

e mai quel nessundove senza negazioni

puro, non sorvegliato, che si respira,

si sa infinito e non si brama. Uno, da bimbo

ci si perde in silenzio e ne è

scosso. O un altro muore e lo diventa.

Perchè quand'è vicina, la morte non si vede

e guardiam fissi fuori, forse col grande sguardo degli

animali.

Gli amanti, se non ci fosse l'altro, che

preclude la vista, a quello spazio puro son vicini e

stupiscono...

come per svista e stato aperto loro

dietro l'altro... ma oltre l'altro

nessuno può andare, ed ecco a tutt'e due tornare mondo.

Sempre rivolti al creato, in essi vediamo

soltanto il rispecchio del Libero

da noi stessi oscurato. O che una bestia

muta, alzi gli occhi e guardi tranquilla attraverso di noi…


… Se ci fosse coscienza della nostra specie,

nel sicuro animale che pur per altra via

ci viene incontro -, lui ci rigirerebbe

col suo andare. Ma per lui, l'essere suo

è infinito, è sciolto e senza sguardo

sul suo proprio stato, puro come il suo sguardo

sull'Aperto.

E dove noi vediam futuro lui vede invece il tutto,

in quel tutto se stesso e salvo sempre…


… Eppure nel vigile, caldo animale

c'e il peso e l'ansia di una gran tristezza.

Perchè anche ad esso sempre aderisce

quel che spesso schiaccia noi: la rimembranza;

come se già una volta ciò verso cui tendiamo

fosse stato più vicino, più fido, e quell'accosto

tanto, tanto tenero. Qui tutto è distanza

e là era respiro. Dopo la prima patria

questa seconda gli è ibrida e ventosa…


… O beatitudine della creatura piccola

che resta sempre nel grembo che la portò,

o felicità del moscerino che saltella ancor dentro

persin quando va a nozze: perchè grembo è tutto.

E guarda la mezza sicurezza dell'uccello

che per via della sua origine sa pressappoco tutte e due le

cose…


… come fosse un'anima di Etruschi,

uscita fuori da un morto, che chiuso in uno spazio,

aveva però

la sua figura in riposo per coperchio.

E come è sgomento uno che ha da volare

e viene da un grembo. Come terrorizzato

di se stesso, passa per l'aria indeciso, va

come va un'incrinatura lungo un vaso. Così la traccia

del pipistrello fende la porcellana della sera…


…E noi: spettatori sempre, in ogni dove

sempre rivolti a tutto e mai all'aperto!

Riempircene a spagliare. Lo ordiniamo e frana.

Lo riordiniamo e franiamo anche noi…


… Ma chi ci ha rigirati così

che qualsia quel che facciamo

è sempre come fossimo nell'atto di partire? Come

colui che sull'ultimo colle che gli prospetta per una

volta ancora

tutta la valle, si volta, si ferma, indugia -,

così viviamo per dir sempre addio…


… Ma perchè, se è possibile trascorrere questo pò

d'esistenza come alloro, il verde un pò più

cupo di tutto l'altro verde, le piccole onde ad ogni

margine di foglia (sorriso di brezza) - perché

costringersi all'umano e, evitando il Destino,

struggersi per il Destino?...


.. Oh, non perché ci sia felicità,

quest'affrettato godere di cosa che presto perderai.

Non per curiosità o per esercizio del cuore,

questo, anche nel lauro sarebbe...

Ma perchè essere qui è molto, e perché sembra

che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste

effimere

che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.

Ogni cosa

una volta, una volta soltanto. Una volta e non più.

E anche noi

una volta. Mai più. Ma quest'essere

stati una volta, anche una volta sola,

quest'essere stati terreni pare irrevocabile…


… E così ci affanniamo, e lo vogliamo compiere,

vogliamo contenerlo nelle nostre semplici mani,

nello sguardo che ne trabocca e nel cuore che non ha

parola.

Lo vogliamo diventare. A chi darlo? Meglio

tener tutto, per sempre... Ah, nell'altro rapporto, di là,

ahimè, che cosa portiamo? Non il guardare che qui

lentamente imparammo, e nessun avvenimento di qui.

Nessuno.

Allora le pene. Allora soprattutto quel senso di peso,

allora la lunga esperienza d'amore, - allora

soltanto quel ch'è indicibile. Ma poi

fra le stelle, che farne? son tanto meglio indicibili loro,

le stelle.

Anche il viandante dal pendio della cresta del monte,

non porta a valle una manciata di terra,

terra a tutti indicibile, ma porta una parola conquistata,

pura, la genziana

gialla e blu. Forse noi siamo qui per dire: casa

ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra,

al più: colonna, torre... Ma per dire, comprendilo bene

oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse,

nell'intimo,

mai intendevano d'essere. Non è forse l'astuzia segreta

di questa terra che sa tacere, quand'essa sollecita gli

amanti così

che ogni cosa, ogni cosa s'esalta nel loro sentire?...


… Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano

logorare un pò la propria soglia di casa già alquanto

consunta,

anche loro, dopo dei tanti di prima,

e prima di quelli di dopo... leggermente…

s nel mondo. i tanto, avventurar

… Qui è il tempo del dicibile, qui la sua patria.

Parla e confessa. Sempre più

vengon meno le cose, quelle da viversi, perché

ciò che le butta per sostituirle è un fare alla cieca.

Un fare sotto croste che docilmente saltano appena che

l'interno lavorio dà fuori e si pone altri limiti.

Tra i magli resiste

il nostro cuore, come resiste

la lingua tra i denti che resta tuttavia, tutto malgrado, per lodare.


… Loda all'Angelo il mondo, non quello indicibile, con lui

non puoi sfoggiare splendore di sentimento; nell'Universo

dove egli sente più sensibilmente, tu sei novizio. E allora

mostragli

quello che è semplice, quel che, plasmato di padre in

figlio

vive, cosa nostra, alla mano e sotto gli occhi nostri.

Digli le cose. Resterà più stupito; stupito come

rimanesti tu

dinanzi al cordaio a Roma o al vasaio sulle rive del Nilo.

Mostragli quanto una cosa può essere felice, quanto

innocente e nostra,

e come financo il dolore che piange, puro, s'induce a

forma

serve da cosa o muore in farsi cosa…


... E queste cose che vivon di

morire,

lo sanno che tu le celebri; passano

ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più

di tutto.

Vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile cuore

in - oh Infinito - in noi! Qualsia quel che siamo

alla fine.

Terra, non è questo quel che tu vuoi, invisibile

risorgere in noi ? - Non è questo il tuo sogno,

d'essere una volta invisibile? - Terra! invisibile!

Che è mai, se non trasmutamento quello che sì

pressante ci commetti?...


Terra, tu cara, accetto. Oh, credi, non ci sarebbe più

bisogno

delle tue primavere per guadagnarmi a te, una,

ah, una sola è fin troppo per il sangue.

Da lungi e senza nome io mi dichiaro a te.

Tu eri sempre nel giusto, e la tua santa pensata

è la confidenza con la morte…


… Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro

vengon meno... Innumerabile esistere

scaturisce in cuore…



(Rainer Maria Rilke, Duineser Elegien (1923) trad. it.: Elegie duinesi, trad. di Enrico e Igea De Portu, Einaudi, Torino 1978)