… Certo è strano non abitare più sulla terra,non più seguir costumi appena appresi,
alle rose e alle altre cose che hanno in sé una promessa
non dar significanza di futuro umano;
quel che eravamo in mani tanto, tanto ansiose
non esserlo più, e infine il proprio nome
abbandonarlo, come un balocco rotto.
Strano non desiderare quel che desideravi. Strano
quel che era collegato da rapporto
vederlo fluttuare, sciolto nello spazio. Ed è faticoso
esser morti;
quanto da riprendere per rintracciare a poco a poco
un pò d'eternità. - Ma i vivi errano, tutti,
chè troppo netto distinguono.
Si dice che gli Angeli, spesso, non sanno
se vanno tra i vivi o tra i morti. L'eterna corrente
sempre trascina con sè per i due regni ogni età,
e in entrambi la voce più forte è la sua…
… Non crediate che il Destino sia poi tanto di più di quel
condensato
che è l'infanzia; quante volte sorpassaste l'amato
compagno ansimando,
ansimando per una corsa beata verso il nulla, verso
l'Aperto…
… La creatura, qualsiano gli occhi suoi, vede
l'aperto. Soltanto gli occhi nostri son
come rigirati, posti tutt'intorno ad essa,
trappole ad accerchiare la sua libera uscita.
Quello che c'e di fuori, lo sappiamo soltanto
dal viso animale; perche noi, un tenero bambino
già lo si volge, lo si costringe a riguardare indietro e
vedere
figurazioni soltanto e non l'aperto ch'è sì profondo
nel volto delle bestie. Libero da morte…
… Questa la vediamo noi soli; il libero animale
ha sempre il suo tramonto dietro a sé.
E dinanzi ha Iddio; e quando va, va
in eterno come vanno le fonti.
Noi non abbiamo mai dinanzi a noi, neanche per un
giorno,
lo spazio puro dove sbocciano
i fiori a non finire. Sempre c'e mondo
e mai quel nessundove senza negazioni
puro, non sorvegliato, che si respira,
si sa infinito e non si brama. Uno, da bimbo
ci si perde in silenzio e ne è
scosso. O un altro muore e lo diventa.
Perchè quand'è vicina, la morte non si vede
e guardiam fissi fuori, forse col grande sguardo degli
animali.
Gli amanti, se non ci fosse l'altro, che
preclude la vista, a quello spazio puro son vicini e
stupiscono...
come per svista e stato aperto loro
dietro l'altro... ma oltre l'altro
nessuno può andare, ed ecco a tutt'e due tornare mondo.
Sempre rivolti al creato, in essi vediamo
soltanto il rispecchio del Libero
da noi stessi oscurato. O che una bestia
muta, alzi gli occhi e guardi tranquilla attraverso di noi…
… Se ci fosse coscienza della nostra specie,
nel sicuro animale che pur per altra via
ci viene incontro -, lui ci rigirerebbe
col suo andare. Ma per lui, l'essere suo
è infinito, è sciolto e senza sguardo
sul suo proprio stato, puro come il suo sguardo
sull'Aperto.
E dove noi vediam futuro lui vede invece il tutto,
in quel tutto se stesso e salvo sempre…
… Eppure nel vigile, caldo animale
c'e il peso e l'ansia di una gran tristezza.
Perchè anche ad esso sempre aderisce
quel che spesso schiaccia noi: la rimembranza;
come se già una volta ciò verso cui tendiamo
fosse stato più vicino, più fido, e quell'accosto
tanto, tanto tenero. Qui tutto è distanza
e là era respiro. Dopo la prima patria
questa seconda gli è ibrida e ventosa…
… O beatitudine della creatura piccola
che resta sempre nel grembo che la portò,
o felicità del moscerino che saltella ancor dentro
persin quando va a nozze: perchè grembo è tutto.
E guarda la mezza sicurezza dell'uccello
che per via della sua origine sa pressappoco tutte e due le
cose…
… come fosse un'anima di Etruschi,
uscita fuori da un morto, che chiuso in uno spazio,
aveva però
la sua figura in riposo per coperchio.
E come è sgomento uno che ha da volare
e viene da un grembo. Come terrorizzato
di se stesso, passa per l'aria indeciso, va
come va un'incrinatura lungo un vaso. Così la traccia
del pipistrello fende la porcellana della sera…
…E noi: spettatori sempre, in ogni dove
sempre rivolti a tutto e mai all'aperto!
Riempircene a spagliare. Lo ordiniamo e frana.
Lo riordiniamo e franiamo anche noi…
… Ma chi ci ha rigirati così
che qualsia quel che facciamo
è sempre come fossimo nell'atto di partire? Come
colui che sull'ultimo colle che gli prospetta per una
volta ancora
tutta la valle, si volta, si ferma, indugia -,
così viviamo per dir sempre addio…
… Ma perchè, se è possibile trascorrere questo pò
d'esistenza come alloro, il verde un pò più
cupo di tutto l'altro verde, le piccole onde ad ogni
margine di foglia (sorriso di brezza) - perché
costringersi all'umano e, evitando il Destino,
struggersi per il Destino?...
.. Oh, non perché ci sia felicità,
quest'affrettato godere di cosa che presto perderai.
Non per curiosità o per esercizio del cuore,
questo, anche nel lauro sarebbe...
Ma perchè essere qui è molto, e perché sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste
effimere
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ogni cosa
una volta, una volta soltanto. Una volta e non più.
E anche noi
una volta. Mai più. Ma quest'essere
stati una volta, anche una volta sola,
quest'essere stati terreni pare irrevocabile…
… E così ci affanniamo, e lo vogliamo compiere,
vogliamo contenerlo nelle nostre semplici mani,
nello sguardo che ne trabocca e nel cuore che non ha
parola.
Lo vogliamo diventare. A chi darlo? Meglio
tener tutto, per sempre... Ah, nell'altro rapporto, di là,
ahimè, che cosa portiamo? Non il guardare che qui
lentamente imparammo, e nessun avvenimento di qui.
Nessuno.
Allora le pene. Allora soprattutto quel senso di peso,
allora la lunga esperienza d'amore, - allora
soltanto quel ch'è indicibile. Ma poi
fra le stelle, che farne? son tanto meglio indicibili loro,
le stelle.
Anche il viandante dal pendio della cresta del monte,
non porta a valle una manciata di terra,
terra a tutti indicibile, ma porta una parola conquistata,
pura, la genziana
gialla e blu. Forse noi siamo qui per dire: casa
ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutti, finestra,
al più: colonna, torre... Ma per dire, comprendilo bene
oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse,
nell'intimo,
mai intendevano d'essere. Non è forse l'astuzia segreta
di questa terra che sa tacere, quand'essa sollecita gli
amanti così
che ogni cosa, ogni cosa s'esalta nel loro sentire?...
… Soglia: oh, pensa che è, per due che si amano
logorare un pò la propria soglia di casa già alquanto
consunta,
anche loro, dopo dei tanti di prima,
e prima di quelli di dopo... leggermente…
s nel mondo. i tanto, avventurar
… Qui è il tempo del dicibile, qui la sua patria.
Parla e confessa. Sempre più
vengon meno le cose, quelle da viversi, perché
ciò che le butta per sostituirle è un fare alla cieca.
Un fare sotto croste che docilmente saltano appena che
l'interno lavorio dà fuori e si pone altri limiti.
Tra i magli resiste
il nostro cuore, come resiste
la lingua tra i denti che resta tuttavia, tutto malgrado, per lodare.
… Loda all'Angelo il mondo, non quello indicibile, con lui
non puoi sfoggiare splendore di sentimento; nell'Universo
dove egli sente più sensibilmente, tu sei novizio. E allora
mostragli
quello che è semplice, quel che, plasmato di padre in
figlio
vive, cosa nostra, alla mano e sotto gli occhi nostri.
Digli le cose. Resterà più stupito; stupito come
rimanesti tu
dinanzi al cordaio a Roma o al vasaio sulle rive del Nilo.
Mostragli quanto una cosa può essere felice, quanto
innocente e nostra,
e come financo il dolore che piange, puro, s'induce a
forma
serve da cosa o muore in farsi cosa…
... E queste cose che vivon di
morire,
lo sanno che tu le celebri; passano
ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più
di tutto.
Vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile cuore
in - oh Infinito - in noi! Qualsia quel che siamo
alla fine.
Terra, non è questo quel che tu vuoi, invisibile
risorgere in noi ? - Non è questo il tuo sogno,
d'essere una volta invisibile? - Terra! invisibile!
Che è mai, se non trasmutamento quello che sì
pressante ci commetti?...
…Terra, tu cara, accetto. Oh, credi, non ci sarebbe più
bisogno
delle tue primavere per guadagnarmi a te, una,
ah, una sola è fin troppo per il sangue.
Da lungi e senza nome io mi dichiaro a te.
Tu eri sempre nel giusto, e la tua santa pensata
è la confidenza con la morte…
… Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro
vengon meno... Innumerabile esistere
scaturisce in cuore…
(Rainer Maria Rilke, Duineser Elegien (1923) trad. it.: Elegie duinesi, trad. di Enrico e Igea De Portu, Einaudi, Torino 1978)