E' di moda oggi, mettere in discussione l'opposizione tra scienza e lettere, dato che i rapporti di volta in volta sempre più numerosi sia di modello, che di metodo, collegano queste due regioni cancellandone spesso il confine; ed è possibile che questa opposizione appaia un giorno come un mito storico. Ma dal punto di vista del linguaggio, che è il nostro qui, questa opposizione è pertinente; quello che essa mette a confronto non è d'altra parte il reale e la fantasia, l'oggettività e la soggettività, il Vero e il Bello, ma solamente collocazioni differenti di parola.
Secondo il discorso della scienza, o secondo un certo discorso della scienza, il sapere è un enunciato; nella scrittura, esso è un'enunciazione. L'enunciato, oggetto consueto della linguistica, è dato come il prodotto di un'assenza dell'enunciatore. L'enunciazione, invece, mostrando la collocazione e l'energia del soggetto, perfino la sua mancanza (che non è un'assenza) punta al reale stesso del linguaggio; riconosce che il linguaggio è un immenso alone di implicazioni, di effetti, di risonanze, di giri, rigiri e rientri; si assume il compito di far conoscere un soggetto di volta in volta insistente e irreperibile, sconosciuto e tuttavia conosciuto, con una inquietante familiarità: le parole non sono più concepite illusoriamente come semplici strumenti, sono scagliate come proiezioni, esplosioni, vibrazioni, macchinari, sapori: la scrittura fa del sapere una festa.
Il paradigma che io propongo qui non ricalca la divisione per funzioni; non mira a mettere da una parte gli scienziati, i ricercatori e dall'altra gli scrittori, i saggisti; suggerisce al contrario che la scrittura si...