sabato 5 marzo 2022

La vita coniugale.

 CAPITOLO I

Piero Patriarca

L a vita coniugale è stata un tempo rappresentata come un campo di battaglia piuttosto che come un letto di rose e forse taluni sono ancor oggi di questo avviso; e se i coniugi Maturin non potevano dirsi certamente una coppia ben assortita, forse proprio per questo il dottor Maturin aveva affrontato la situazione in un modo di gran lunga più spiccio, più pacifico e più efficace della grande maggioranza dei mariti.


Aveva inseguito la sua bellissima, vivace, brillante moglie per anni e anni prima di sposarla finalmente in mezzo al canale della Manica, a bordo di una nave da guerra. Per così tanti anni, in effetti, da essere diventato ormai uno scapolo inveterato, al punpto di non poter più rinunciare alle sue abitudini di fumare a letto, di suonare il violoncello nei momenti più impensati, di dissezionare qualsiasi cosa lo interessasse, perfino nel salotto; troppo incallito perché potesse imparare a radersi la barba regolar mente, a cambiarsi la biancheria o a lavarsi quando non ne sen tiva la necessità: un marito impossibile. Non era stato addestrato per la vita domestica e, sebbene nei primi tempi del loro matri monio si fosse sforzato con grande impegno di adattarsi, ben presto si era reso conto che col tempo la tensione avrebbe dan neggiato il rapporto, tanto più che Diana era intransigente quanto lo era egli stesso e assai più incline a farsi prendere da accessi di collera a proposito di cose per lui di poco conto, quali un pancreas nel cassetto del comodino o la marmellata di arance finita sull'Aubusson. Inoltre, le sue abitudini ormai radicate di segretezza (oltre che medico, era un agente del Servizio d'informazioni) lo rendevano ancor meno adatto alla vita matrimoniale, destinata necessariamente a deperire in una situazione di riserbo eccessivo. Per questi motivi, dunque, finì per ritirarsi sempre più spesso nella vecchia locanda confortevole e piacevolmente démodée, il Grapes, nel libero distretto del Savoy, lasciando Diana nella bella casa moderna di Half Moon Street, una casa che brillava di pittura bianca fresca e che era stata arredata in legno di ferolia, elegante ma delicato.


Non si era affatto trattato di una separazione; disaccordi, violenze o cattiva volontà erano del tutto estranei al trasferi mento graduale di Stephen Maturin dall'intensa vita sociale di Half Moon Street verso la viuzza buia e nebbiosa sulle rive del


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Tamigi, dove poteva con più agio dedicarsi alle riunioni della Royal Society, del Collegio dei Chirurghi o delle società ento. mologiche e ornitologiche, che lo interessavano assai più del gioco delle carte o delle serate di Diana, e dove poteva con maggiore sicurezza svolgere alcune attività delicate che lo impe gnavano come membro del Servizio d'informazioni della mari na, attività che necessariamente dovevano essere tenute celate alla moglie. Non si era trattato di un allontanamento che com portasse dissapori, bensì di una semplice separazione geografi ca, una distanza di così poco conto che in genere Stephen tutte le mattine la percorreva, attraversando Green Park per fare la prima colazione con la moglie, la maggior parte delle volte nella sua camera da letto, perché Diana d'abitudine si alzava tardi: mentre quasi sempre compariva alle sue frequenti cene, svol gendo il ruolo di padrone di casa in modo ammirevole, perché sapeva essere garbato e compiacente come il più raffinato degli ospiti, purché non gli si chiedesse di sostenere la parte troppo a lungo. In ogni caso sia il padre sia il primo marito di Diana era no stati ufficiali dell'esercito e lei era perciò abituata fin dall'in fanzia alle separazioni. Era sempre felice di vedere il marito co me questi lo era di vedere lei; non litigavano mai, dato che ogni motivo di disaccordo era stato eliminato, e in verità quella era probabilmente la migliore soluzione possibile per due persone che non avevano niente in comune se non il sentimento di amo re e di amicizia, nonché una serie di strane, sorprendenti avven ture vissute insieme.


Non litigavano mai, se non quando Stephen ritornava sull'argomento del matrimonio secondo il rito cattolico, giacché le loro nozze erano state celebrate, nel modo sbrigativo della marina, dal comandante della nave di Sua Maestà Oedipus, un giovane amabile e un esperto navigatore, ma certamente non un prete; e dal momento che Stephen, di origini miste irlandesi e catalane, era cattolico, per la Chiesa continuava a essere celibe. Tuttavia nessuna opera di persuasione, nessuna parola gentile (quelle aspre, Stephen non si sarebbe azzardato a usarle) erano riuscite a smuovere Diana dalla sua posizione; lei non ragionava, diceva semplicemente e fermamente di no. Talvolta quell'ostinazione addolorava Stephen, non soltanto perché per lui si trattava di una questione importante, ma anche perché gli pareva di aver avvertito nel rifiuto della donna un oscuro timore superstizioso nei riguardi di uno strano sacramento, un timore mescolato alla

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Bottino di guerra | Missione sul baltico | Duello nel mar Ionio*