Di solito insieme, come Gianni e Pinotto o Bing Crosby con Bob Hope, arrivano dal barbiere del Carlton ogni mattina Henry Miller e Georges Simenon.
E sullo sfondo, coi giornali o in mutande, passano e ripassano i soliti Marc Chagall, Magali Noél, Tristan Tzara, Fellini e Rossellini, Michel Leiris, i due Mastroianni, Betsy Blair, Maurice Thorez in carrozzella spinta dalla vedova Léger, e in Citroén nera di rappresentanza il Direttore Generale Picon tra i flics in motocicletta che minacciano di travolgere vecchi ex-surrealisti vestiti da impiegati malandati stilla Croisette.
Ma con quell'aria voluta e ostentata da finto tonto che la sa assai lunga, un completino di lanetta grigetta quasi bianca, da Standa belga o Upim svizzera, scarpe bianche, calze arancione corte e cravatta carota a pois bianchi grossissimi, Simenon li fende tutti senza salutarli, portando in giro piuttosto divertito per tutto il Festival — come un arciprete il Santissimo — la sua famosa pipa ingombrante e massiccia, anche poco usufruita.
Sempre accompagnato da una moglie con tono di baronessa altera e cortese in spiaggia, e lo chignon più alto di tutta Cannes, almeno venti centimetri: la Petronilla della nostra infanzia! Ma forse i parrucchieri del Gaiton si ispirano a un documentario sulle acconciature delle donne indù, molto piaciuto in questi giorni. Si è d'accordo di non hatare sul cinema, per il lisci--
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